La versione originale dell'intervista, in inglese, è QUI sul sito web di WANTED IN ROME.
Come è nata la tua passione per l'arte, in particolare
street art, e da quanto tempo stai dipingendo in strada?
Da bambino disegnavo sempre quello che vedevo attorno a me,
anche mentre guardavo la tv o leggevo fumetti copiavo tutto. Mi ricordo che fu
la mostra “I love Paperino” a Palazzo Braschi nel 1984 a farmi scoprire che
fumetto e pittura potevano convivere, grazie alle opere di artisti come
Schifano e Ugo Nespolo a fianco a quelle di Andrea Pazienza, Jacovitti e ai
paperi di Carl Barks.
A lavorare in strada ho iniziato nel 1992/1993, incollando
poster coi miei personaggi disegnati. Poi mi sono dedicato a lungo a fumetti ed
editoria, senza smettere mai di riempire sketchbooks e di dipingere grandi
tele, e solo nel 2009 sono tornato a fare opere in strada. Dal 2010 ho iniziato
a fare murales sempre più spesso perché dipingere tra le persone e negli spazi
vissuti da tutti è come una dipendenza. Se l'arte è relazione la Street Art è
relazione all'ennesima potenza.
Puoi descrivere il tuo stile e la tua più grande fonte di ispirazione?
Non mi interessa che un mio lavoro sia immediatamente
riconoscibile, graficamente parlando, e infatti uso tecniche e segni diversi a
seconda del tipo di disegno o di dipinto che devo fare. Credo che, malgrado
ciò, il mio modo di disegnare sia facilmente riconducibile a me.
La mia più grande fonte di ispirazione è la realtà che si
nasconde dietro alle apparenze. Nelle mie opere cerco di rappresentare il vero,
che non è ciò che vediamo ma ciò che quella superficialità visibile nasconde.
Per capirci, mi interessa di più catturare la luce dello sguardo di una persona
che fargli un ritratto riproducendo le sue fattezze.
Sono entrambi dichiarazioni d'amore verso la Città Eterna.
Roma è come una nonna di tremila anni che ha infinite storie da raccontarci, e
dipingere nelle sue strade è un po' come tatuare la sua pelle: non si può
prescindere da quelle storie. MURo è un progetto che ho avviato spontaneamente
dieci anni fa al Quadraro, chiamando colleghi artisti di tutto il mondo a
raccontare attraverso i murales le storie del quartiere, e che poi si è
allargato prima a Torpignattara e poi a tutta la città producendo negli anni
decine di opere. GRAArt invece è nato già grande, nel 2016, grazie a una
commissione di ANAS e ha finora realizzato 17 grandi murales attorno al Grande
Raccordo Anulare che si relazionano con la storia dei luoghi di Roma dove sono
dipinti e si propongono perciò di divenire dei simboli di quelle zone.
Sono opere dipinte sulle scalinate e dedicate alle donne, e
ho iniziato a realizzarle perché credo che questa città abbia bisogno di più
monumenti 'al femminile'. Ogni opera richiede almeno una settimana di lavoro e
uno staff di 2 o 3 assistenti oltre me, tutti inginocchiati per più di 12 ore
al giorno. Quindi la tecnica direi che sta tutta nella preparazione fisica!
Dove sono i tuoi lavori principali, e c'è una zona di Roma dove sono più concentrati?
Sono soprattutto nelle periferie perché lavorando su grandi
dimensioni non è facile ottenere permessi per le facciate dei palazzi dei
centri storici. Anche se ritengo che ad artisti di chiara fama e lunga carriera
si dovrebbero concedere, perché le città sono vive anche grazie alla
stratificazione delle opere d'arte prodotte nel corso dei vari secoli. A Roma
comunque ho dipinto ovunque, sul sito diavu.com nell'area Outdoor abbiamo messo una mappa
dei miei murales proprio per rispondere dove sono con esattezza.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
A ottobre parteciperò alla mostra collettiva alla galleria
Rosso20Sette Arte Contemporanea "Da sketch a MURo" che chiuderà i
vari eventi del primo MURo Festival e produrrà un catalogo che celebrerà i
primi 10 anni del progetto MURo. Poi se ci riuscirò mi piacerebbe coniugare tre
miei amori: street art, editoria e musica. Nel frattempo dipingerò tanti altri
murales.
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