La versione originale dell'intervista è QUI sul sito Sapereambiente, a cura di Dafne Crocella
Venerdì 21 maggio è stata inaugurata nel quartiere romano di Valle Aurelia, nella parte Nord della Capitale, la sesta scala appartenente al progetto Pop Stairs dello street artist Diavù. È un omaggio a Gigi Proietti, commissionato dal centro commerciale Aura, costruito nel 2018 in una zona chiamata dai romani “Valle dell’Inferno” e posizionata tra San Pietro e il Borghetto dei Fornaciari, all’uscita della metro della Linea A, Valle Aurelia.
David Vecchiato, in arte Diavù, durante la realizzazione della sua opera a Valle Aurelia (Foto:Dafne Crocella)
Tra Papato e Fornaci
La Borgata dei Fornaciari, tuttora esistente e da poco riqualificata, ha una storia identitaria ben definita: qui, a fine ‘800 si insediano i fornaciari, professionisti del mattone, della ceramica, dei laterizi. Il senso di identità e di appartenenza a una classe sociale prima
ancora che a un territorio è molto marcato. Il territorio si
contraddistingue con i tratti specifici legati al lavoro operaio dei
suoi abitanti: 18 fornaci di mattoni laterizi da costruzione attive giorno e notte. Abitano il borgo immigrati del centro e sud-Italia ma anche veneti e romani, uniti nel lavoro e con chiare connotazioni socialiste. Nel 1887 nascono i primi scioperi, in cui cariolanti, livellatori, impastatori rivendicano i propri diritti, tanto da far nascere la leggenda di un Lenin ammirato da questo quartiere modello in cui il lavoro e la quotidianità si mescolano. Delle 18 fornaci oggi resta solo la Fornace Veschi con la sua lunga ciminiera e la struttura circolare,
circondata dalle scale del centro commerciale che in parte la ingloba
ricordando la storia del quartiere. Oggi è proprietà del Comune ed è stata ristrutturata dalla stessa ditta che si è occupata della costruzione del centro commerciale, sicuramente meriterebbe di aprirsi ad arte e cultura, ma versa in triste stato di abbandono.
La Fornace Veschi, a pochi massi dal centro commerciale Aura e non lontana dalla stazione di Valle Aurelia (Foto:Dafne Crocella)
Non di solo shopping
L’idea, racconta il direttore Fabrizio Di Bella, è stata sin da subito che Aura potesse essere una sorta di agorà, e non solo un luogo di shopping: «Il nostro obiettivo è fare di Aura un polo che non sia solo shopping. Si tratta di un centro commerciale diverso da altri, senza luce artificiale o areazione forzata, in stretto rapporto con il territorio, in cui si può venire a piedi per una passeggiata e un incontro tra amici. Vogliamo che questa sua caratteristica di luogo di incontro aperto si vada declinando con una connotazione culturale». Già l’estate scorsa il centro ha offerto alcune proiezioni di film e per quest’anno hanno in cantiere l’idea di utilizzare la zona dell’anfiteatro all’aperto per una rassegna cinematografica e una teatrale. L’idea di chiedere a Diavù la realizzazione di una delle sue Pop Stairs, sulle scale del centro commerciale, nasce prima del lockdown e vuole dare alla struttura un’impronta culturale chiara. «Con Diavù, autore tra l’altro delle vicine scale del Mercato Trionfale dedicate ad Anna Magnani, è stato fatto uno studio sul territorio e sui personaggi del mondo dello spettacolo che lo hanno interpretato. Tra i papabili c’era anche Nino Manfredi che qui ha girato Brutti Sporchi e Cattivi. La scomparsa di Gigi Proietti ha poi fatto propendere per un suo ritratto».
Il Teatro nel Teatro per il Teatro
Diavù ha quindi preparato due bozze proponendo due personaggi interpretati da Proietti che fossero in qualche modo collegati con il territorio: Gaetanaccio e Tiberinus. È stata poi organizzata una votazione sui canali social del centro commerciale e ne è uscito vincitore Gaetanaccio, al secolo Gaetano Santangelo burattinaio di strada nella Roma ottocentesca a cui Luigi Magni ha dedicato una commedia musicale, La Commedia di Gaetanaccio, interpretata dal giovane Gigi Proietti nel 1978. Il personaggio ritratto sulle scale è dunque un inconfondibile Gigi Proietti nelle vesti di Gaetanaccio che a sua volta mette in scena i suoi personaggi: il burattino del papa nella mano destra e quello del diavolo nella sinistra. Una narrazione che si radica sul territorio e lo racconta nella sua contrapposizione tra la bianca Cupola di San Pietro sullo sfondo e i probabili fumi che non vediamo più, delle fornaci che hanno fatto guadagnare al quartiere il nome di Valle dell’Inferno. Gaetanaccio viveva nel quartiere di Borgo ai piedi del “Cuppolone”, come i romani chiamano la Cupola di San Pietro, ed era un discreto frequentatore delle carceri papali in quanto, come artista di strada, era personaggio scomodo. L’opera teatrale, scritta da Luigi Magni proprio per Gigi Proietti, è ambientata nell’anno 1825, anno giubilare, in cui come per le pandemie, venivano chiusi tutti i teatri. Gli attori quindi facevano la fame e Gaetanaccio continuava a fare dentro e fuori dalle prigioni proprio perché si ribellava a questa imposizione. Il tema è un chiaro allaccio alla situazione attuale. In una visione del tempo circolare il teatro di Gigi Proietti racconta, attraverso il teatro di strada di Gaetanaccio, l’attuale situazione dei lavoratori del mondo dello spettacolo.
Gaetanaccio, oggi
In un momento storico in cui è stata imposta una scala di valori che ha permesso, in piena pandemia, alle chiese di restare aperte mentre i teatri venivano chiusi, la voce di Gaetanaccio con la sua pancia vuota e la sua bocca piena di storie e denunce, torna a farsi sentire con incredibile attualità. Diavù riporta questa storia sulle scale di Aura, mettendocela sotto i piedi, e rendendoci inevitabilmente parte della narrazione, così come dell’opera. «È un’opera che, come le altre del progetto Pop Stairs, si relaziona con la città introducendo un cambio di prospettiva», racconta l’artista. «Le mie Pop Stairs sono opere concettuali e il concetto è proprio la trasformazione di una scala in un monumento. Il concetto è l’anamorfosi, la simulazione. Voglio riportare l’arte all’illusione». E proprio di un’illusione si tratta: un’opera spaesante capace al tempo stesso di radicare. Un’opera che, mentre si scendono le scale non c’è, proprio come le illusioni. Se ci si ferma nel mezzo della scalinata invece ci si ritrova ad essere parte dell’indecifrabile. Quando si prendono le giuste distanze si comprende il disegno.
L’opera di Diavù dedicata a Gigi Proietti presso la scalinata del Centro Commerciale Aura di Valle Aurelia (Foto:Dafne Crocella)
Dal Muro al Gra, passando per le scale, l’arte feconda la città
Diavù è oggi una firma della street art riconosciuta a livello internazionale, oltre ad essere artista è anche curatore e creatore di diversi progetti. Ha fondato nel 2010 MURo, il Museo di Urban Art di Roma, nel quartiere Quadraro. «L’ho creato con l’intento di renderlo un progetto pilota. Le prime mura erano piccole, niente palazzoni. Siamo nati con il mio lavoro Art Pollinates Quadraro, l’arte feconda il Quadraro: un ovulo fecondato da spermatozoi, una dichiarazione di intenti, il desiderio di fecondare un quartiere con l’arte. L’idea era di abituare le persone alla street art, quindi è stato un lavoro fatto con uno stile diverso dal mio, un po’ cartoon, non troppo grande, un primo passo nel quartiere, per ascoltare le risposte degli abitanti. La street art deve mantenersi rispettosa». Nell’estate 2015 è nato il progetto Pop Stairs con la realizzazione delle prime tre scale dedicate ad attrici del cinema che hanno interpretato ruoli collegati al territorio. L’anno successivo è partito il Progetto GRA per ANAS patrocinato dal MiBACT, che comprende una serie di murales lungo il Grande Raccordo Anulare, la strada statale che circonda la Capitale. «È stato un’evoluzione dell’idea che aveva dato origine al museo MURo. Il mio ragionamento è stato: se Roma è un libro che ha tremila anni, facciamogli la copertina!». Tutti questi progetti hanno in comune una specificità territoriale condivisa con gli abitanti del luogo. Ogni lavoro, anche quelli di street artists provenienti dall’estero, si inserisce nella storia dei luoghi raccontandola e potenziandola.
Un lavoro a più mani
Oggi Diavù ha una tecnica consolidata e una firma riconosciuta.
«Lavoro con diversi collaboratori che mi aiutano sia nella parte
artigianale che con specifiche conoscenze tecniche, come ad esempio
restauratori e chimici. Per me questo è normale, sono artista devo
conoscere i materiali oltre alla storia di un territorio. L’idea che
l’artista sia solo un fricchettone non corrisponde alla realtà. Un bravo
artista è una persona molto preparata sia dal punto di vista tecnico
che da quello concettuale». La realizzazione delle scale ha visto quindi
il lavoro di più mani, oltre a quelle di Diavù anche quelle dei suoi assistenti Antonio Caricchia e Giorgio Silvestrelli ai quali si è unita la giovane artista iraniana Maryam Mahmoudiseraji.
Tecnica e visione
Oltre alle conoscenze tecniche e allo studio storico, sociale e antropologico di un territorio per poter realizzare progetti del genere bisogna anche sapersi barcamenare tra le istituzioni, i bandi e i committenti. «I committenti e le amministrazioni hanno bisogno della visione. Abbiamo politici che non hanno più una visione, sono attori in una realtà simulata. La visione spesso ce l’hanno gli artisti: dovrebbero servire anche a questo. Quando lavoro su un territorio lo studio sotto varie angolazioni e poi traduco la mia visione attraverso sistemi di renderizzazione il più veritieri possibile. Qui ad Aura vedranno la scalinata esattamente come il rendering che ho fatto. Ho scelto di essere didascalico nella spiegazione prima, in modo da potermi risparmiare di doverlo essere nella realizzazione delle opere dopo. Quindi con me i committenti sanno esattamente quello che avranno». Dopo la firma dell’opera e la posa della targa con il codice QR che racconterà la storia legata alla scala, la mattinata di inaugurazione si è chiusa con un’improvvisazione musicale: Stefania Placidi alla chitarra ha cantato insieme a Diavù la Ninna Nanna Senza Cena scritta da Proietti insieme a Piero Pintucci proprio per il Gaetanaccio.