C’era una volta il disco, una piastra tonda di fragilissima gommalacca e lamina di metallo nata nel 1888 per dar voce ai giocattoli.
Pensate, quell’oggetto che faceva ballare e flirtare i nostri nonni e genitori e che ha rivoluzionato usi e costumi della società del secolo scorso nacque da una bambola parlante.
L’audio, prima dei giochi parlanti del tedesco Emile Berliner, si poteva registrare e riprodurre solo grazie al fonografo che Thomas Alva Edison presentò a New York ad un pubblico incredulo il 6 dicembre 1877.
Sono in molti a sospettare che Edison più che al telegrafo si sia “ispirato” alle intuizioni del poeta francese Charles Cros che depositò la stessa idea mesi prima all’Accademie des Sciences di Parigi. Ma l’accusa non è dimostrabile e i fatti narrano che l’inventore americano canticchiò Mary had a little lamb dentro un imbuto che catturando il suono fece vibrare una membrana che muoveva una punta in acciaio che a sua volta incideva una lamina in stagno applicata su un cilindro e che quella nota filastrocca per bambini divenne quindi la prima “canzone” incisa della storia.
A rivoluzionare il mondo della musica fu però l’invenzione di quel disco piatto nato per far parlare le bambole.
Lo stesso Berliner ne capì appieno il potenziale nel 1895, quando produsse il grammofono a manovella da lui inventato anni prima e fondò la propria etichetta discografica per far concorrenza ai cilindri musicali di Edison.
La prima canzone su un disco a 78 giri destinata al mercato discografico fu A’ Risa, cantata da Bernardo Cantalamessa, uno dei cantanti e attori napoletani che facevano la spola tra l’Italia e New York in cerca di successo nei locali dei compatrioti come il Caffè-Concerto Pennacchio o il Florence Theatre.
E mentre tra gli emigrati italiani andava di gran moda Enrico Caruso, promosso da vignettista a grande tenore proprio grazie alle incisioni di arie d’opera dell’etichetta discografica Victor (divenuta poi RCA), la Columbia iniziò a incidere dischi di jazz, la Paramount si specializzò in country-blues e iniziò la guerra tra etichette discografiche a chi avrebbe trovato il genere più amato e l’invenzione più innovativa.
Il colpo di genio venne dopo la seconda guerra mondiale ai tecnici della Columbia Records (poi CBS) che sostituirono la gommalacca col vinile potendo così incidere dischi dai solchi più stretti, dal suono più nitido e, soprattutto, dalla lunga durata.
Nascevano i 33 giri, i long playing con più canzoni.
Già dal 1939 art director della Columbia era l’appena ventiduenne Alex Steinweiss a cui nel 1948 fu chiesto di trovare il metodo per non graffiare il nuovo vinile con le buste di carta bucate che fino a quel momento contenevano i 78 giri in gommalacca.
Steinweiss, che aveva introdotto da una decina d’anni il graphic design nella confezione dei dischi, progettò una busta rigida e chiusa, da stampare su tutta la superficie.
Alex Steinweiss
Alex Steinweiss
La prima cover disegnata da Flora a metà anni 40 fu per Benny Goodman e Harry James e da allora il suo stilizzato segno cartoon divenne marchio di fabbrica di dischi jazz, targati sia Columbia che Victor RCA. Gene Krupa and His Orchestra del 1947 è invece uno degli ultimi dischi a 78 giri che Flora disegnò prima della rivoluzione del 33 e del 45 giri.
Artisti contemporanei come Tim Biskup, Shag e Derek Yaniger, illustratori come J.D.King o animatori come Pete Docter della Pixar si rifanno all’inconfondibile stile di Jim Flora.
Jim Flora
Jim Flora
L’idillio tra dischi e arte prosegue e si esalta ovviamente con la Pop Art, se pensiamo che già nel 1949 un giovane e sconosciuto Andy Warhol realizza la sua prima cover art per l’album A Program of Mexican Music di Carlos Chávez.
AndyWarhol
È proprio dal 1949, con l’avvento del 45 giri della RCA e un’operazione di lancio di centinaia di titoli diversi, che un supporto in assoluto più maneggevole ed economico per diffondere la musica si afferma come oggetto di ampio consumo diffondendo nuovi valori, suoni ed immaginari visivi.
Due sole canzoni incise, com’era per i 78 giri, ma con la praticità dell’LP.
Il nome? Dalla semplice operazione: 78-33=45.
Con l’enorme diffusione dei 45 giri le cover diventano icone.
Già da fine anni 50 tra gli illustratori USA che seguono il percorso di Flora spiccano David Stone Martin, Sadamitsu Neil Fujita e il giovane Warhol.
Sadamitsu Neil Fujita
Sadamitsu Neil Fujita
David Stone Martin
David Stone Martin
Fulvio Bianconi
Andrea Pazienza
Mentre un disco dell’attore USA Jackie Glason già nel ’55 ha la copertina dipinta dal compagno di bevute Salvador Dalì, con gli anni 60 e grazie a Warhol e i Velvet Underground, il connubio arte e musica si fa sempre più saldo e sperimentale.
Salvador Dalì
Warhol diverrà marchio di garanzia e realizzerà 51 artwork per 45 e 33 giri di Diana Ross, Rolling Stones, John Lennon, Paul Anka, Aretha Franklin, Billy Squier e molti altri, fino agli svedesi Rat Fab e all’italo-spagnolo Miguel Bosè.
Andy Warhol
Sono sempre di più i musicisti che scelgono l’arte contemporanea per rappresentare le proprie canzoni e l’opera d’arte in copertina diviene uno status. Uno dei padri della pop dance music, Bobby Orlando vuole l’altrettanto pop Roy Lichtenstein e il suo ciclo delle Crying Girls per I Cry For You e relativi 45 giri. David Bowie, Run DMC e Sylvester preferiscono il graffitista Keith Haring, David Byrne chiama Robert Rauschemberg per il suoi Talkin Heads, e all’immagine di Patti Smith pensa il suo amico Robert Mapplethorpe.
Keith Haring
C’è chi si lega infatti al lavoro di un artista commissionandogli più cover, come i Minutemen con Raymond Pettibon, i Dead Kennedy’s con Winston Smith, i Little Feat con Neon Park e i The Hours con Damien Hirst.
Raymond Pettibon
Winston Smith
Altri scelgono una firma a disco, come i Red Hot Chili Peppers che chiamano nel 1995 Mark Ryden, attivo anche per Butthole Surfers, Michael Jackson e molti altri, nel 2002 vogliono Julian Schnabel (la cui figlia Stella era all’epoca fidanzata con Frusciante) fino a Hirst nel 2011, che rispolvera le sue mosche e le sue pillole per la cover dell’ultimo album della band di Los Angeles.
Mark Ryden
Julian Schnabel
In epoca di riscoperta del vinile i Blur per l’album Think Tank del 2003 stampano tre singoli su 45 giri e ognuno con in copertina un’opera dell’arcinoto street artist Banksy.
Banksy
Banksy
Banksy
E, visto che ormai formati mp3 e flac rendono obsoleto il CD e il vinile sembra destinato a tornare il supporto sonoro tangibile da preferire, forse la storia dei 45 e 33 giri e delle loro copertine d’artista non finisce qui.
Diavù (cover dell'album di Luca Sapio Who Knows)