20 marzo 2016

...ma il cielo è sempre più Blu?

Mi ha chiamato venerdì "Bianco e Nero" di Radio Rai Uno e mi ha chiesto se volevo rispondere – in quanto artista - a Fabio Roversi Monaco, il fautore della mostra Street Art Banksy & Co. che si è aperta a Bologna venerdì stesso (se non sai nulla della recente azione urbana dell'artista Blu e di altri artisti ed attivisti di cancellare i murales a Bologna che ha fatto molto discutere basta che vai QUA. Poi, se ti interessa l'argomento, torna qui e continua la lettura).

Ho deciso di accettare l'invito perché, credendo nelle migliori intenzioni di Blu, so che ci sono degli argomenti urgenti, legati all'arte urbana più di quanto si voglia credere, di cui si deve parlare. Ma so che anche i curatori della mostra hanno intenzioni serie e comprensibili, che vanno approfondite. Non sono quindi qua a servire uno dei due fronti della battaglia come la giusta tifoseria da sposare, deluderò pertanto gli amanti delle effimere polemiche della domenica.

Intanto va compreso fino in fondo che il gesto di Blu di cancellare tutti i suoi murales a Bologna non è da contestualizzare nelle dinamiche dell'arte, attorno alle quali gira invece questo dibattito da mesi ormai.
Cerchiamo di essere definitivamente chiari, e qua parlo da artista, da ideatore, curatore e promotore di progetti di Urban Art e da cittadino:
chi se ne frega del dibattito di opinioni se la Street Art va esposta o non va esposta nei musei. In questo frangente è soprattutto un diversivo poiché è talmente ovvio che ci andrà sempre più spesso, benvolentieri o (talvolta fintamente) malvolentieri nei musei! Abbiamo rotto tanto i coglioni perché gli artisti venivano trattati da vandali e denunciati e ora li rompiamo se non è più così e nessuno gli spara più addosso sotto le metro? Avremmo preferito beccarci forse qualche colpo di mitraglietta dai soldati dell'esercito anti-terrorismo che vanno tanto di moda ora nelle metropoli europee? A ripensarci bene non era dio-Keith Haring quello che trent'anni fa si portava dietro l’amico Tseng Kwong Chi con telecamera e fotocamera per far riprendere i suoi arresti? Già in fasce quella che poi avremmo chiamato Street Art era in un periodo di marketing evoluto. La Street Art la paraculaggine ce l'ha nel DNA. E giustamente, perché è una monella nata e cresciuta in strada.

Ma il sensazionalismo è solo la forma, e questo è un concetto che dobbiamo comprendere. A livello contenutistico infatti anche il forte gesto simbolico di Blu ha un senso che va oltre l'apparenza, ed è da inserire nelle dinamiche dei movimenti di base bolognesi, perciò non continuiamo a guardare il dito e guardiamo piuttosto un po' più lontano, dal momento che un artista prima di essere tale è un uomo. E un artista che realizza opere in strada è un uomo in qualche modo coinvolto politicamente nelle dinamiche della città, che ne sia consapevole o no. Quindi dovrebbe scegliere lui da che parte stare, e Blu - come altri di noi artisti ognuno a modo proprio - l'ha fatto da tempo. «È l'essere implicati, l'essere nella realtà, quel che conta» disse una volta Cartier-Bresson.

Come ho proposto a "Bianco e Nero" e allo stesso Fabio Roversi Monaco, propongo qui anche a voi di guardare assieme l'opera di Blu, tanto per cominciare. Si tratta di soggetti surreali che esprimono concetti molto reali e anche facilmente comprensibili come:
antimilitarismo:

difesa delle minoranze:
inquinamento:
e difesa dell'ambiente:
 disprezzo del profitto:
e dei confini:

e dei poteri forti, politici, economici, industriali o religiosi che siano:

quindi difesa delle occupazioni, sia di abitazioni:
che di spazi sociali:

eccetera… fino ad arrivare ai più recenti lavori, che sono complessi grovigli di figure apocalittiche che - nel narrare la nostra autodistruzione e indifferenza verso tematiche di interesse sociale e collettivo - sembrano ispirarsi sempre più al caos demoniaco di Bosch:

Osservando dunque con attenzione le opere di Blu ci accorgiamo che la sua è una visione poetica, ideologicamente pura e radicale. Ingenuamente politica diremmo, se volessimo leggere la realtà schierandoci dalla parte di chi di attualità economica e finanziaria se ne intende. Come quei banchieri italiani (tanto per fare un esempio di chi 'ingenuo' come Blu non è), che percepiscono stipendi che vanno dall'uno ai tre milioni lordi annui, pur guidando imprese in crisi che devono periodicamente essere salvate coi nostri soldi pubblici.
Roversi Monaco - che ha sottolineato durante il programma quanto lui apprezzi Blu come artista - con la sua lunga esperienza in affari potrebbe definire i suoi dei temi da scolaretto delle elementari contro la guerra e la fame nel mondo.

A me personalmente pare una visione ottimista quella di Blu.
Potrei sbagliarmi, non ne ho avuto modo di parlarne direttamente con lui, ma sembra implicita nelle sue opere la speranza che le persone che le osservano (almeno quelle che le apprezzano) possano essere in grado di comprendere quei suoi messaggi e prima o poi magari possano decidere di agire di conseguenza. Sono dipinti urbani che, narrando la nostra quotidiana crisi economica e politica mondiale, intendono stimolare una consapevolezza in chi li guarda:

Dipinti di chi è inoltre ben consapevole del potere politico che ha, proprio in quanto artista:

Anche Banksy sembra voglia farti ragionare su grandi tematiche sociali, ma lui lo fa usando il distacco tipico dell'ironia, della satira. Lui ti prende in giro e per farlo usa la strada, dove fa operazioni che diventano di marketing e comunicazione più dichiarati.

I dipinti di Blu in confronto sono lezioni morali, ed è un linguaggio più apparentemente 'serio' e 'rigoroso' il suo. 
"Militante".
La sua è una posizione etica radicale che si è perfezionata negli anni. Prima dipingeva dove poteva, all'interno e all'esterno di strutture abbandonate, su muri pubblici e privati, su commissione, da un bel po’ di tempo invece sceglie soprattutto luoghi occupati da persone che vivono sulla propria pelle quei concetti che lui raffigura sui muri, luoghi che quindi sono parte integrante dell'opera, che ne sono l'aspetto biologicamente vivo e che - inoltre - lui sa bene di proteggere in qualche modo con l'aurea dell'arte.

Perché - indipendentemente da Blu e da questo specifico discorso su Bologna - l'arte esercita una sua aurea protettiva sui luoghi e gli edifici, infatti quando è riconosciuta come bene di valore collettivo c'è una Soprintendenza che si deve occupare delle sue sorti, privato o pubblico che sia il luogo dove quest'arte è.
I proprietari - privati o amministrazioni pubbliche - questo lo sanno, perciò quando vogliono riprendersi uno stabile occupato che è stato dipinto da artisti devono essere loro i vandali che vanno a deturpare, cancellare o abbattere quei murales, altrimenti la riappropriazione non sarà così semplice.

Studiate cos'è successo a 5Pointz a New York. Da 30 anni mecca dei graffiti storici, nel 2013 è stato imbiancato nottetempo dai Wolkoff, proprietari della struttura, per disinnescare tutta la carica esplosiva di quei graffiti e poter di nuovo disporre a piacimento dell’edificio:
5Pointz a NY City, prima e dopo la cancellazione dei graffiti.

Oppure documentatevi su come hanno messo in pratica gli sgomberi i funzionari di pubblica sicurezza al Cinema Teatro Volturno nel luglio 2014 e al Cinema Preneste nel giugno 2015, entrambi a Roma ed entrambi ricchi di opere murarie di noti artisti italiani ed internazionali, grazie al progetti artistici curati da a.DNA Collective. Ve lo dico io: li hanno sgomberati coi picconi, per abbattere i tanti muri dipinti e cancellare dunque quei simboli dalla memoria collettiva. I murales di questi due luoghi che erano diventati meta di gite turistiche di istituti scolastici per la loro importanza artistica, e soprattutto di scuole i cui studenti non avevano la disponibilità economica per visitare i musei a pagamento, sono stati abbattuti senza che nessuno si sia sognato di fare degli strappi per conservarli in un museo.
Gli interni dell'ex-Cine Teatro Volturno a Roma dopo lo sgombero

Ma torniamo a Blu. Questa sua visione poetica di cui parlavo, ha subìto un'azione di sopraffazione attraverso gli strappi dei suoi murales da mettere in mostra a Palazzo Pepoli che lui pare aver comprensibilmente accusato come un sopruso e una grave ferita. O meglio, questo è ciò che ci è arrivato dal testo dei Wu Ming, dalle sue gesta e dalla frase sul suo sito "a Bologna non c’è più Blu e non ci sarà più finchè i magnati magneranno per ringraziamenti o lamentele sapete a chi rivolgervi."

Blu dunque - che probabilmente avrebbe voluto aprire gli occhi alle persone coi suoi soggetti, che dichiarano onestamente a tutti le sue idee - si è ritrovato attaccato, sopraffatto e depredato dalle istituzioni - pubbliche e private - non più in quanto nemico-vandalo da combattere, ma stavolta proprio in quanto apprezzatissimo artista da passare alla Storia, dunque da difendere dal degrado, dall'incuria, dai vandalismo, dalla cecità di futuri proprietari ed istituzioni, ma anche da se stesso.

Per questo suo valore - riconosciuto dal Potere - è stato strappato via dai muri di edifici destinati alla demolizione, ad uso delle generazioni future in nome della conservazione e musealizzazione delle sue opere.

I suoi murales sono diventati così i nuovi trofei di quel Potere - che prima li disprezzava o li ignorava - proprio come lo sono le teste imbalsamate e conciate dei leoni appese negli studi dei notai. E il leone oggi è lui col suo pensiero. Domani saranno tutti i luoghi sociali e culturali sgomberati, dai quali prima verranno salvate le 'sacre' opere di 'Street Art' da musealizzare e poi verranno restituiti ai legittimi proprietari che ne faranno con più agilità ciò che credono.

Non mi risulta che il leone si sia mai dichiarato grato o contento di quella forma di 'storicizzazione' che lo vede imbalsamato e appeso al muro. E che rappresenta anche una 'sterilizzazione' del suo potere e del ruolo di re della foresta.
Perché - attenzione - qui oggi si sta disinnescando proprio il messaggio cosiddetto 'sovversivo' dell'artista, come si disinnesca il ruolo del leone appendendo il suo ringhio in salotto. Questo - che è un boicottaggio del senso stesso del lavoro di Blu - i curatori potevano e dovevano prevederlo prima di agire. Prima insomma di dichiarargli inconsapevolmente guerra, anche se in nome di un'importante causa, ovvero la conservazione e musealizzazione della Street Art.

Quando dico che capisco il gesto doloroso di Blu di cancellare i suoi murales bolognesi intendo che capisco la necessità di boicottare chi ti provoca un danno simile, morale ma anche di immagine.
Parlando in radio mi è venuto in mente, e l'ho espresso, un assurdo parallelo che Roversi Monaco mi auguro abbia colto, visto che la sua materia è sempre stata il Diritto: qualsiasi azienda multinazionale se colpita nella sua 'mission' - e colpita usandone il marchio stesso - reagirebbe male, no?
Se io aprissi un fast-food McDonald in franchising ma poi, a sorpresa, vendessi solo panini vegetariani che spiegassero nel menu stesso i gravi danni che il consumo della carne provoca alla salute in che razza di guai mi metterei con la suddetta multinazionale? Eppure il mio gesto sarebbe mosso dalle migliori intenzioni, come salvare la salute dei miei simili. Come qui si vuole salvare quella di importanti opere d'arte.
Mettiamola così dunque, per chi capisce più di economia che di sociale: anche la mostra Street Art Banksy & Co. ha fatto esplodere una bomba sotto alla 'mission' e all'identità di un brand. La Coca Cola, per dirne uno, li avrebbe spazzati via dalla realtà.

Ma, ancora più grave - e veniamo al dunque - è che quella bomba, a 'difesa' delle opere di Blu, viene proprio da chi in quella città ha una storia opposta alla sua, da chi è visto come un simbolo del profitto, un prestigioso esponente di quei "poteri forti" che hanno guidato un certo cambiamento di Bologna di questi ultimi anni.
Chi è Fabio Roversi Monaco? Ex presidente della più potente fondazione bancaria bolognese - la Carisbo - ex rettore dell’università di Bologna - che ha diretto per 15 anni - membro della loggia massonica Zamboni-De Rolandis e attualmente al vertice di Banca Imi e Accademia di Belle Arti, è anche Presidente di Genus Bononiae, ente museale finanziato dalla fondazione Carisbo. «Immarcescente ex-tutto e podestà di Bologna» è stato definito  dall'ex-membro del Cda dell'Accademia di Belle Arti Alberto Agazzani, che si riferiva alle sue tante nomine e libertà di assegnare appalti in famiglia. «Principato di (Roversi) Monaco» è stata ribattezzata Bologna dai movimenti. Insomma in vari ambienti non lo amano affatto, e malgrado lui abbia modo di difendersi e di spiegare le sue posizioni (questa una delle interviste più recenti), in molti continuano a non credergli (questo l'ultimo testo dei Wu Ming sul caso).
Comunque, volendo portare qualche esempio di quel "cambiamento" di cui scrivo sopra, senza dover andare con la memoria alle imprese del sindaco 'sceriffo' Sergio Cofferati, uno degli ultimi casi di conflitto pesante tra attivisti di sinistra e istituzioni di centrosinistra risale a sei mesi fa, ovvero allo sgombero del centro sociale Atlantide (al Cassero di S. Stefano da ben 17 anni) che ha visto il sindaco progressista Merola - che in quell'occasione ha infelicemente definito "lobby gay" gli occupanti - cacciare l'assessore Ronchi - che invece stava trattando con lo storico Atlantide per un altro spazio in cui spostarsi.

Quindi, se vogliamo essere intellettualmente onesti, dobbiamo riconoscere che questo atto di Blu & co. non si può leggere senza prima fare luce sulla situazione politica e sociale bolognese degli ultimi anni. 
E quindi italiana.

Basta guardare cosa sta accadendo anche a Roma, col commissariamento di Tronca. Si mettono in atto, velocemente e senza proporre altre soluzioni, gli sgomberi degli spazi sociali ai fini della svendita di quegli edifici pubblici ora occupati. C'è un'enorme quantità di spazi vuoti ed abbandonati, tra cui numerose strutture pubbliche che vengono lasciate volutamente e criminosamente in evidente stato di degrado per favorirne la svalutazione e trasformarle in preda di speculazioni, eppure sembra che non si possa fare a meno di buttare fuori chi fa cultura ed attività sociali utili - a volte indispensabili - in altri spazi altrimenti inutilizzati.
E così, mentre a destra - a proposito di occupazioni - il palazzo di Casapound è sempre là - pur rappresentando una pericolosa ideologia violenta, come la Storia ci insegna - laddove si fa volontariato per solidarietà il cielo è sempre più nero (leggete qua, altro che il grigio di Blu!) e la città se non vuole essere desertificata è costretta a mobilitarsi al disperato grido "Roma Non Si Vende", lanciato dai tipi di Roma Comune
Intanto il Teatro Valle a Roma è ancora chiuso, il Cinema America e il Rialto idem e continuiamo a sgomberare senza cercare dialogo i luoghi dove si costruiscono diverse visioni di futuro e dove la cultura è accessibile.  
E a noi artisti questa realtà non dovrebbe riguardarci? Io sono cresciuto artisticamente esponendo le mie opere al Leoncavallo a Milano, al Forte Prenestino a Roma e in tanti altri spazi sociali in Italia perché altrove non c'erano spazi di libertà tali e mi riguarda eccome, perché non voglio condannare i più giovani ad ammuffire i cervelli sguazzando tra superflui desideri imposti, tutti i sabati nei centri commerciali.

Nel frattempo deboli segnali di dialogo tra istituzioni e movimenti di attivisti - dialogo che è quindi ancora possibile - vengono da Napoli, dove il sindaco De Magistris un anno fa è addirittura sceso in difesa dell'occupazione dell'ex-ospedale psichiatrico occupato Je So' Pazzo, contro la decisione del gip di sgomberarlo. Lo stabile è stato dipinto proprio da Blu, che ha scelto questa realtà sociale per fare il suo primo murale in città,
Il murale di Blu all'ex OPG occupato Je So' Pazzo di Napoli (2007)

Tornando a Bologna, vediamo la campagna elettorale locale che va a nozze attorno a queste recenti polemiche su Blu e ci aspettiamo confusi politici locali cambiare opinione e passare dall'uno all'altro versante appena avranno finito di contare se sono di più gli elettori contrari o quelli favorevoli al coraggioso artista.
E a noi cittadini - che siamo stati privati della bellezza di quei murales che Blu & co. hanno cancellato - cosa resta e come dovremmo reagire?
Michele Serra dice la sua in proposito, guardandosi bene dal toccare il reale argomento politico, ma noi che abbiamo seguito il ragionamento finora dovremmo cominciare a capire meglio perché Blu - profondamente delegittimato da questi strappi dei suoi murales e da questa storicizzazione/sterilizzazione di lui come voce pubblica e di ciò che rappresenta (ovvero le lotte sociali in cui è coinvolto) - abbia sentito il dovere di mettere in moto un'azione politica di risposta agli strappi dei murales, altrettanto forte e violenta.

Lo capite finalmente? 
Bene.

Allora è il momento di farsi venire dei dubbi. Ad esempio, guardando non più le nobili e giustissime cause ma bensì gli effetti di questa azione, io non posso fare a meno di notare che - ricoprendo di grigio le sue opere rimaste sui muri di Bologna - Blu ha di fatto partecipato più attivamente di tutti gli altri artisti alla mostra "Street art Banksy & co." tanto che ormai potevano pure ribattezzarla "Street Art: Blu, Banksy & co."

La trappola - che non voglio credere gli sia stata tesa dall'organizzazione della mostra pensando ad ogni possibile conseguenza (non vi faccio così strategicamente diabolici, ragazzi!) - probabilmente era però così complessa che Blu - volente o nolente - sta paradossalmente partecipando alla mostra a modo suo, proprio com'è nel suo 'stile'.
Come quando lo chiamò Alessandro Riva nel 2007 per "Street Art Sweet Art" al PAC (dietro la quale c'era l'intenzione di Sgarbi di 'sdoganare' la Street Art, soprattutto quella di area milanese) e lui non diede opere ma dipinse sulla facciata un murale acido che sembrava ispirato a quel belmondo che lo stava acclamando (cocainomani a culo nudo, oche starnazzanti, scimmie naziste, ecc, sepolti da una montagna di cocaina):
Il murale di Blu di fonte al PAC di Milano (2007)

O come quando lo chiamò l'allora discusso direttore del MOCA di Los Angeles Jeffrey Deitch per la mostra "Art in the Streets" del 2011 e lui non inviò opere da mettere in mostra, ma dipinse il murale esterno delle bare dei soldati coperte non dalla bandiera ma dal dollaro USA. Murale che fu ovviamente cancellato nel giro di poche ore, ma che in quel modo fece parlare più di Blu che di tutti gli altri artisti:
Il murale di Blu - immediatamente cancellato - al MOCA di Los Angeles (2011)

Stavolta, mi dice il curatore della mostra bolognese Christian Omodeo (tra le altre cose co-ideatore di Le Grand Jeu)- che ho cercato per chiedergli spiegazioni di prima mano sugli strappi dei murales - Blu è stato contattato ma non ha interagito con loro perciò sono andati avanti con gli strappi dei lavori dai muri, mettendo così le sue opere forzatamente in mostra, e in salvo dalla strada e dalla imminente demolizione.

Stavolta Blu ha - ripeto, volente o nolente - partecipato due volte alla mostra, sia con i dipinti strappati dai muri che con la risonanza che ha avuto questa operazione giusta, legittima, drammatica, nichilista, ma anche prevedibile.
Si potrà supporre solo coi numeri di visitatori alla mano se Blu & co. con questo gesto sensazionalista abbiano fatto più danno o più favori alla mostra, e se c'è caduto senza malizia in questa trappola, così come tutti ci cadiamo ogni volta che ci invitano a un evento su FB e mettiamo "non parteciperò". Hai cliccato su un tasto? Hai perciò di fatto partecipato, facendo guadagnare un'altra volta du' spicci a Mr. Zuckerberg esattamente come colui che ha spinto il tasto dal significato opposto al tuo.
Se invece non c'è caduto, anzi aveva fiutato la fregatura e ha reagito cancellando i dipinti solo perché quelli che fa ora gli piacciono di più e sa bene che le polemiche riscattano e fanno salire le quotazioni, allora ha preso in giro tutti con un bel "Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?" alla Nanni Moretti.
A credere ciò sono coloro che si sono chiesti come mai Blu non si è appellato alla legge per diffidare gli organizzatori della mostra ad utilizzare le sue opere (in mostra e nel catalogo) o per denunciarli una volta fatto. Come mai non abbia ripudiato le opere, come mai insomma non ha impedito - come avrebbe potuto per vie legali - che le opere strappate finissero esposte.
Che d'altronde non sono argomenti del tutto sbagliati, visto che sarebbe stato in suo potere farlo.


Al di là delle facili ironie o della stessa analisi, una mia opinione su questa vicenda ce l'ho.
Credo che l'occasione che ha avuto l'arte in questo caso così eclatante - che ha coinvolto emotivamente moltissime persone - di intervenire concretamente sulla società civile partendo da un dibattito sullo spazio urbano e sui luoghi pubblici destinati all'uso comune, a mio avviso si è un po' perduta. 
Si è aperto senz'altro un dibattito ma - ripeto - sui temi sbagliati e privo di un ragionamento profondo in grado di coinvolgere cittadini, rappresentanti delle istituzioni, proprietari privati, artisti, critici e curatori, collezionisti e appassionati e - soprattutto - movimenti e realtà di base.

I curatori della mostra, da parte loro, affermando così come stanno facendo, che la Street Art è una forma d'arte che va selezionata, preservata e tramandata ai posteri, fino al punto da ritenere legittimo e necessario privare la comunità delle opere per esporle e conservarle nei musei (selezionandole  soggettivamente tra quelle che ritengono più 'meritevoli' e al contempo - oggettivamente - più a rischio), avrebbero potuto coerentemente promuovere una campagna pubblica che chiedesse di rendere i musei gratuiti, ad esempio, valida almeno per quei musei che esporrano Street Art prelevata dalla strada, ovvero tolta alla fruibilità gratuita.
Sarebbe stato senz'altro un interessante atto per affermare che la Street Art è comunque arte pubblica, quindi certi temi le sono congeniali. Soprattutto i temi politici. Avrebbero tra l'altro potuto operare uno studio tale da esporre in mostra, assieme alle opere, anche i racconti di conflitto sociale che quelle stesse opere in certi casi rappresentano. 
Quel che è certo è che i curatori non avrebbero potuto gestire la patata rovente che gli si è rovesciata addosso, ovvero uno dei tanti effetti che sta producendo in Italia un centrosinistra che scodinzola e obbedisce ai forti ma azzanna i movimenti a sinistra. Ma avrebbero potuto raccontare le ragioni di quel dissenso che produce certe opere in strada.

Blu, da parte sua, stavolta avrebbe potuto muovere un movimento di opinione in grado di coinvolgere un numero di cittadini più ampio di quello che di solito lo apprezza artisticamente o - soprattutto - lo affianca e lo segue politicamente. O che capisce queste dinamiche politiche di cui ho scritto qui. 
Un movimento di opinione vasto che chiarisse, o perlomeno domandasse alla società civile, di chi sono le opere in strada (non la proprietà intellettuale ovviamente - che è sempre dell'artista - qua intendo la proprietà dell'opera-oggetto, del bene), di chi sono i panorami pubblici, e perché non vengono destinati più luoghi alla cultura e al sociale, invece di toglierglieli come sta accadendo in modo sempre più insistente. 
Ma forse è proprio ciò che lui ha voluto fare col suo gesto. Staremo a vedere se avrà effetti in tal senso.

Da parte poi dei cosiddetti cittadini - ormai 'utenti' - mi sembra si sia perso del tutto l'uso della coscienza civile come coscienza collettiva, dunque potente arma pacifica in grado di cambiare il nostro futuro, perciò tutto si è limitato a dei violenti e/o sterili post, dei commenti su siti e social network, a dei miseri e pigri like. A quella solita maniera superficiale ed individualista che abbiamo di confrontarci, da coro da stadio, fatto di tante diverse solitarie rabbie che non riescono a costruire un'idea comune che sia una.  
Condannati alla fine, senza i dovuti e necessari approfondimenti, a non capirci mai una sega di niente.