27 ottobre 2013

Urban Art Oppression a Bologna

Mentre sono con lo staff di Mondopop e la produzione video Level 33 al lavoro sul documentario sulla visita dell'artista statunitense Ron English al quartiere Quadraro a Roma, dove ha dipinto un murale per il mio progetto di urban art MURo (il documentario va in onda il 3 dicembre su Sky ARTE, ch 110, 130 e 400 di Sky), leggo la notizia della denuncia all'artista Alice Pasquini presentata dal reparto sicurezza e antidegrado della polizia municipale di Bologna.

Alice è una persona dolce e complessa, è una romantica, che ha intrapreso la propria carriera artistica sui muri ispirata anche dalla storia d'amore con un altro artista, e per un periodo viaggiavano dipingendo assieme, ma - rapporti personali a parte - Alice è soprattutto una lavoratrice instancabile che non si può liquidare con un superficiale "imbrattamuri". 
Direi piuttosto che è una specie di Amélie Poulain che ha necessità di donare bellezza a spazi degradati e di rendere felici le persone facendogli incontrare dietro agli angoli dei muri urbani i suoi ritratti dai colori luminosi di bambini che giocano, di ragazzi, ragazze o madri che sorridono. Ritrae lo spirito popolare, preferibilmente quello femminile, nei suoi momenti di maggiore grazia, coglie attimi di relazione in quei fragili sguardi di gente comune e li interpreta velocemente sui muri. È una forza della natura ed è quasi stucchevole l'amore con il quale fa arte...ma dico, come si fa a denunciare una così? 
Anche Amélie ne ha combinata qualcuna da denuncia, ma a nessuno sarebbe venuto in mente di chiederle mille euro o di sbatterla un anno dentro.

La prima considerazione che mi viene in mente leggendo la notizia è che, mentre le amministrazioni delle più civili ed evolute città europee e del mondo commissionano agli artisti la realizzazione di murales su intere facciate di palazzi, con l'importantissimo intento di sottolineare le differenze tra arte e vandalismo, e mentre a Roma stiamo lavorando duramente in molti, artisti, curatori e promotori culturali, per convincere i pubblici amministratori a stare al passo con queste città stimolando così una sana crescita dell'urban art, purtroppo ti svegli una mattina e devi constatare con rinnovata amarezza quanto le autorità italiane siano da sempre programmate per perseguitare chi fa i danni minori. 
Un'amarezza, questa di noi artisti e intellettuali alla malora, che ogni giorno in Italia trova ottime ragioni per rinnovarsi, beata lei. 
Ok, vi risparmio il retorico elenco dei tanti che dovrebbero pagare per il perseverare dei propri gravi misfatti, e che erano in fila verso il carcere ben prima di uno qualsiasi di quei brutti, sporchi e cattivi artisti e writer che imbrattano muri e che ora stanno pure saltando la fila, 'sti maleducati. E ve lo risparmio quell'elenco giusto per non piombare in un dibattito da bar. Ma voi fate come se l'avessi snocciolato.
Per ora, non divaghiamo oltre, stiamo soltanto chiedendoci se sono danni anche i dipinti di Alice e di tutti gli altri artisti, quando non autorizzati dalle amministrazioni o dai proprietari dei muri su cui intervengono. E me lo chiedo da cittadino prima che da artista.

Parliamo schietti. I dipinti non autorizzati sui muri urbani (o le installazioni, o le sculture, o eccetera) sono motivati principalmente da due ragioni: politica o promozionale. O almeno io, volendo generalizzare in questa sede, la vedo così. 

I primi mandano un messaggio, o compiono un gesto artistico, che molti definiscono "provocatorio". In realtà quei gesti sono una reazione dell'artista contro la comoda interpretazione che molti organi di potere danno al concetto di legalità, concetto volentieri manomesso dalle nostre amministrazioni, passate e presenti, per favorire palazzinari, imprenditori e politici, corruttori e corrotti, sfavorendo così i cittadini, considerati troppo spesso carne da voto senza licenza di esprimere opinioni, quindi privati del diritto di indignarsi e di esternare qualsiasi dissenso. 

L'artista che realizza un'opera di street art - o che interviene con un "graffito" - è in quei casi uno di quei cittadini che ne ha piene le palle, non si placa facendo chiacchiere da bar perché ha il fuoco dell'arte dentro, perciò quella licenza di esprimere opinioni se la prende da sé, facendosi portavoce. 
Il gesto politico libero che c'è dietro al writing e a un'opera di street art realizzata illegalmente può essere dunque di critica alle speculazioni edilizie, all'economia malata, alla corruzione, agli effetti deleteri del consumismo, allo stato delle cose in genere. Al concetto stesso di democrazia partecipativa che poi tale non è. E in quel gesto c'è una riappropriazione concettuale da parte dell'artista degli spazi comuni e c'è l'affermazione del proprio ruolo pubblico, civile e sociale, che chiede gli venga riconosciuto in quanto artista, in quanto intellettuale.
Un artista con coscienza politica dovrebbe infatti scegliere anche il muro su cui intervenire, magari sceglierlo in base ai contenuti dell'opera, come fanno molti artisti che per questo dipingono prevalentemente su edifici in stato di abbandono, di degrado urbano, sotto sgombero, e via dicendo.
Anche semplicemente realizzare una propria opera per donare a un muro degradato per un breve periodo un nuovo aspetto, vicino al proprio ideale di bellezza, è un gesto politico, che avvicina etica ed estetica.
(In un breve testo CHE POTETE LEGGERE QUI parlo di un piccolo intervento urbano che io ho realizzato mosso da intenti simili, oltre che dalla voglia di dedicare un omaggio a un amico, un ragazzo di una settantina di anni).

L'altra ragione che porta molti artisti a dipingere in strada è più banalmente promuovere il proprio lavoro, mostrarlo come in una galleria d'arte a cielo aperto. Alcuni lo fanno con dei progetti magnifici, altri esteticamente e/o concettualmente interessanti, altri sono più prevedibili, altri ancora fanno delle vere ciofeche che inzaccherano muri e non hanno granché senso estetico. 
Ma questi ultimi spesso sono giovanissimi che liberano la necessità di lasciare traccia della loro esistenza là fuori, nella città. Ma parlare del tipo di segno ci inserisce in un dibattito critico o nella sfera dei gusti personali. E per ora sorvoliamo, i gusti son gusti.
Concentriamoci invece sul fatto che anche in quei gesti promozionali si sta esprimendo un dissenso, come a dire: «se alcuni sono autorizzati a guadagnare sfruttando lo spazio pubblico per bombardarci, per annichilirci, con le immagini delle loro invasive pubblicità anche in strada, dove non possiamo né impedirglielo né difenderci, allora usiamo anche noi quegli spazi allo stesso modo, e bombardiamo tutti con le nostre immagini, con la prova che esistiamo pure noi». Cosa vuoi rispondergli? Chi blatera di democrazia dovrebbe ammettere che il principio in fondo non è poi così sbagliato. 
Se quell'area di strada privatizzata non è un esercizio commerciale né un'abitazione, quindi non è poi così necessario privatizzarla, è allora solo un cartellone pubblicitario. E un solo cartellone, e sono oltretutto enormi, non deturpa la città quanto una cinquantina di stickers, dipinti a stencil o altrettante tag?
Ma a volte, e sarebbe disonesto non riconoscerlo, in molti ragazzi e in alcuni artisti quel dissenso non esiste, o è solo una scusa per dare lustro ai propri dipinti illegali, e ciò a cui aspirano i primi è lasciare un segno della propria esistenza, mentre i secondi dipingono in strada per farsi notare e trovare al più presto un gallerista che venda al prezzo più alto che può le loro genialate su-tela-su-carta-o-su-frigorifero-di-basquiattiana-memoria, o almeno reperire qualche cliente su Etsy, Ebay, o uno straccio qualsiasi di sito di e-commerce. 
La strada è in questi casi uno strumento di marketing a basso costo, anche se ad alto rischio. Ma il rischio lo corrono volentieri, a volte soggetti al fascino dell'illegalità, altre per ignoranza riguardo multe e pene a cui vanno incontro.
Personalmente quelli che usano la strada per fare concorrenza a locandine e cartelloni pubblicitari li guardo un po' più distrattamente degli altri perché non mi seduce chi combatte il nemico con le stesse armi, così come guardo distrattamente i cartelloni pubblicitari stessi, quindi non ho molto altro da aggiungere in proposito. 
Certo non li giudico, l'ho usata anch'io così in passato, poi ho capito che sarebbe stato più saggio prendersene cura.

Poi ci sono i writer. 
Quelli che fanno le scritte e le tag, per capirci. No, non intendo "Digos boia" o "Buongiorno Principessa", quelli li inserirei volentieri alla voce "da sculacciare". Ho grande rispetto per lo slogan "muri puliti popoli muti", ma visto che da qualche tempo esiste internet potremmo elaborare in chiave contemporanea il concetto di "muro" e sporcare meno le case degli altri, ché l'imbianchino costa, la crisi incombe e le città le tratta da latrine già chi le amministra.
Sto parlando invece delle tag, si, proprio quelle firme che vi ritrovate anche sul corrimano delle scale e che non riuscite a leggere. Ecco, malgrado gli autori li muova spesso lo stesso tipo di ripicca, pardòn di dissenso, nei confronti del bombardamento pubblicitario e degli abusi perpetrati dal potere, oltre alla necessità di emergere dall'anonimato passivo e di fare gruppo, per mia modesta opinione loro usano un linguaggio che nel frattempo si è evoluto, non è più fermo a vent'anni fa, e infatti quando ci parlo mi ricordano quei tizi che ti dicono che dopo i Beatles la musica è morta. Ragazzi sveglia, è arrivato il momento che qualcuno vi dica che in realtà sono i Beatles a esser morti e anche quel linguaggio che avete scelto voi per dipingere i muri - importantissimo nell'epoca in cui è nato e si è sviluppato -  ormai ha una certa età e non è che si senta granché bene. 
Etichettatemi pure 'vecchio' o 'sporco borghese', tanto gli anni 70 non passano mai di moda, come la vecchiaia d'altronde, però io - che eppure amo l'estetica del caos - detesto camminare tra mura, portoni, vetrine, e ogni superficie urbana, pubblica o privata che sia, completamente insudiciata da tag invasive, brutte spesso esteticamente e stilisticamente. Troppo spesso mi sembrano espressione di un egocentrismo nevrotico e incontinente che rafforza ciò che vorrebbe combattere, che esprime lo stesso metodo di prevaricazione. 
Uno sfregio che - al giorno d'oggi - più che al writing associo alle auto parcheggiate sui marciapiedi e agli escrementi di cani che invadono quei marciapiedi come mine antiuomo, e che, antopologicamente parlando, continua a raccontare in qualche modo questi nostri tempi, certo, ma mentre li racconta sta inutilmente danneggiando qualcuno che con questa guerra a chi tagga di più non c'entra nulla. 
Ok, sono tempi in cui se non danneggi inutilmente qualcuno non esisti. Allora almeno su questo argomento riconosciamoglielo ai neo-writer che sono ancora contemporanei. 
I peggiori passano poi dallo sbombolettare con la crew a timbrare il cartellino in banca appendendo le bombolette al chiodo, mentre i migliori, come ho visto fare a molti di quelli storici, sono finiti per fortuna nel luminoso tunnel della calligrafia, che è un'arte meravigliosa che personalmente m'incanta. O a fare gli artisti, dipingendo con cognizione, dando così un nuovo senso alle proprie firme. Abbiate fiducia quindi, tutti hanno una speranza.

Ma per tornare alla nostra domanda iniziale, se ve la ricordate ancora, la risposta è dunque si, queste opere sono danni. 
Ma spesso danni creati per reagire ad altri danni, ben più evidenti e resi invisibili alle leggi vigenti da un potere facilmente corruttibile. Però, diosanto, è altrettanto dannoso - e molto più folle - pensare di punire gli artisti e i writer che hanno commesso quei danni col carcere. 

Il tribunale di Milano, che ha sentenziato l'associazione per delinquere ai writer Harvey e Zed, dopo averla sventolata come spauracchio ha sospeso fortunatamente la folle condanna al carcere e ha costretto i due a 400 ore a testa di assistenza a disabili e anziani. Un bell'esempio di civiltà, signora giudice, io però gli avrei più che altro fatto semplicemente risarcire i singoli proprietari di muri e portoni colpiti dal loro incontenibile talento, e il danno economico l'avrei valutato sul costo di ripristino degli stessi, in proporzione alle dimensioni delle loro tag. Così poi avrebbero potuto firmare, ovvero taggare, anche i lavori di ristrutturazione. Facciamolo, dai, ma dal momento che la legge è uguale per tutti, quanti altri gruppi organizzati producono danni di ben maggiore gravità sociale ed entità economica e potrebbero essere accusati di essersi associati per delinquere, ma non lo sono? Per nominarne solo uno facendo torto agli altri, Finmeccanica produce armamenti che vengono venduti a Paesi coinvolti in guerre che producono stermini. Signora giudice, mandiamoli tutti a lavorare a Emergency allora, eddaje!
Ma avevo promesso che non facevo l'elenco, perciò mi fermo qui, malgrado mi tornano su come piatti indigesti i tumori di Taranto (l'Ilva), quelli in Campania (Terra dei fuochi), e molti altri casi in cui le vittime sono morte e muoiono nell'indifferenza delle istituzioni. 

Ma chissenefrega, l'importante è che le vigenti leggi riusciamo ad applicarle contro i writer.

Viste finora alcune tra le più frequenti dinamiche che spingono un artista a dipingere in strada, adesso per chiudere vi spiattello la mia personalissima opinione, che guida anche le mie azioni artistiche. 
Io credo non dovremmo cedere facilmente all'illegalità. Dal momento che spesso è semplice ottenere l'autorizzazione dal proprietario del muro su cui è nostra intenzione intervenire, perde senso esercitare su di lui una prepotente prevaricazione. Se proprio un artista non ne vuole sapere di chiedere autorizzazioni, perché sente che il proprio gesto perderebbe di spontaneità, valore e significato, dovrebbe almeno saper riconoscere il muro che può giovare della sua opera da quello che ne verrebbe danneggiato, magari a scapito di uno o più cittadini che non è detto godano di una situazione economica migliore della sua. 
Anzi, spesso i piccoli proprietari son messi peggio di noi artisti, che quando siamo anche piccoli proprietari ci scatta l'autodifesa ipocrita e teniamo ben segreta questa informazione (e per non parlare di quei writer che dopo aver devastato il quartiere popolare della propria città poi tornano a casa da mamma e papà nel quartiere bene...beh, cosa c'entrano quelli con le bande di adolescenti condannati al margine della società o con Super Kool 223, Phase2, Vulcan, Dondi, Fab Five Freddy & co, qualcuno sa dirmelo?). 
Non è difficile comunque oggi ottenere autorizzazioni, dal momento che questo Paese - e aggiungo purtroppo - non ha leggi che obbligano a tenere in uno stato di decoro estetico accettabile i propri palazzi, perciò le città - non solo in periferia - sono disseminate di edifici fatiscenti le cui pareti vengono concesse volentieri, previa presentazione di bozze. 
Insomma, gli stiamo risolvendo il problema coi nostri capolavori, altro che degrado.
Si, ovvio, un murale autorizzato perde il suo fascino trasgressivo, ma un artista dovrebbe essere consapevole che il proprio intervento potrebbe diventare un significativo gesto politico mosso da una causa più forte della banale trasgressione, potrebbe rappresentare un rifiuto di quel degrado e dell'illegalità già dalle modalità con cui viene realizzato. E un esempio, un insegnamento. Un modo per cambiare il mondo, esatto, mi togliete le parole di bocca. 
E se non ce l'ha un artista un'idea di come vorrebbe cambiare il mondo...

Se da una parte gli artisti possono andare incontro a proprietari e autorità, dall'altra parte però, gli amministratori pubblici che si occupano di decoro urbano dovrebbero - anzi devono - disporre di competenze di base, sia di architettura che di arte contemporanea, per saper riconoscere la gravità del danno prima di sfoderare denunce, pistole e manganelli. O almeno di buonsenso.

L'avrete capito, oltre all'inconsapevolezza non amo granché l'illegalità. Non la amo come sistema, figuratevi come atteggiamento. Sono troppo vecchio e troppo anarchico evidentemente, non esercita fascino su di me come non lo esercita d'altra parte la legalità, che considero soltanto un utile strumento per regolare la convivenza civile tra incivili che, se rispettato da tutti, può addirittura produrre un benefico senso di appartenenza a una comunità (anche se ammetto che pure l'illegalità, se condivisa da tutti, crea appartenenza, ma in quella di comunità i rapporti di forza sono in genere un po' più cruenti). 
Io non sopporto l'illegalità professata dai potenti come strumento di 'libertà', figuratevi sfoderata dagli artisti o dai ragazzini come strumento di lotta. Già troppo spesso sono illegali le istituzioni e lo sono i comportamenti della polizia, quindi non dovremmo abbassarci a tanto. 
E poi, ragioniamo un attimo, se un sistema di potere ti lascia soltanto spazi di illegalità per intervenire sul territorio con la tua arte, tu artista più che crederti libero e anarchico e andare fiero di usarli dovresti farti qualche domanda seria. Non è che qualcuno lassù sta facendo di te un ingenuo capro espiatorio spingendoti a delinquere e tu stai cascando in quella trappola con tutti i pennelli e le bombolette? Non è che anche i tuoi gesti illegali contribuiscono all'incremento del controllo poliziesco e incoraggiano quelle vomitevoli campagne elettorali-farse contro il degrado e a favore di più sicurezza? Non è che chi rappresenta le legge ha recintato per te le aree in cui puoi delinquere danneggiando i cittadini tuoi pari, e ha ritagliato per te un'eterno ruolo di ricattabile e perseguibile precario? 
Piuttosto che farci detestare, noi artisti non dovremmo andare incontro agli altri cittadini di questo Paese aiutandoli a comprendere meglio anche le nostre ragioni?
Io sto provando a fare questo con un'azione, che ritengo artistica quanto politica, a Roma, nel quartiere Quadraro. 
Si tratta di MURo, Museo Urban di Roma, ma ve la racconterò in un prossimo post.

Per chiudere invece sull'esposto contro Alice, dal quale mi è partito 'sto fiume di chiacchiere, personalmente ritengo che lei abbia messo in conto che prima o poi le sarebbe arrivata una denuncia, soprattutto stavolta, dopo aver dipinto le sue opere su spazi privati, porte e portoni, e averne poi parlato in un'intervista.
Ma se un artista come lei è per la legge una "imbrattamuri", dunque causa di degrado, allora anche il sindaco, la giunta e la polizia municipale stessa di Bologna dovrebbero essere denunciati dai cittadini perché è soprattutto a causa dei loro mancati o sbagliati interventi che la città è piombata in un degrado che non è certo rappresentato da sei personaggi di Alice, dipinti su superfici già deturpate da tag. 
E questa denuncia è il tipico esempio di un altro intervento sbagliato, perché se quell'amministrazione ha previsto un milione di euro per ripulire i muri della città e dimostra poi di non conoscere la differenza tra una scritta a bomboletta, causa di degrado, e l'intervento di un artista, risposta al degrado, è ovvio che non spenderanno bene quel capitale. 
Quel nostro capitale.


Alice Pasquini all'opera in via Antinori per il progetto MURo curato da me a Roma, nel quartiere Quadraro

25 ottobre 2013

E noi a Gino lo pittamo

Ecco, lui è Gino, il barbiere cantante del Quadraro. 

Gino. Stencil su muro, Roma 2013

Gino ha iniziato la professione a fine anni 40, quando aveva sette anni, fingendo di rasare la barba a Totò che era cliente del padre, barbiere suo maestro, e se lo vieni a trovare a via dei Quintili 63/a ti mostra i suoi album fitti fitti di foto con Alberto Sordi, Monica Vitti, Giuliano Gemma, Nino Manfredi, Franco Franchi, la Carrà e mucchi di divi di Cinecittà e starlette della tv anni 70. 
E ti racconta delle mangiate con loro. 
Le sue storie ti riportano al Quadraro degli anni 50 e 60, quando via dei Quintili si chiamava via Centrale, era piena di vita e frequentata da Pasolini, la Magnani, da attori e registi di Cinecittà che qua venivano all'osteria, a trattare coi tanti artigiani che lavoravano per il cinema o a raccogliere comparse tra gli abitanti.
Ogni mattina Gino apre il locale e, se non ha tra le mani capelli e barbe, si accomoda alla tastiera a cantare le sue arie romanesche, canti d'amore e di coltello, canzoni napoletane, melodie oltralpe da chansonnier e via così, il repertorio arriva fino a Sinatra. 
Nel quartiere dove vivo aleggia tutti i giorni la sua musica. Altro che Spotify. 

Di recente mi è venuta voglia di fargli una sorpresa e, conoscendo il suo egocentrismo d'artista, ho dipinto questo ritratto sornione. 
L'ho attaccato di sera, a locale chiuso, perché la mattina dopo lo accogliesse al suo arrivo. 

Io che attacco lo stencil di Gino assieme a Ron English, Beau Stanton e mia figlia Sofia

Beh, quando Gino la mattina l'ha visto non me ne ha chiesto subito un altro?


P.S.: Questo sopra è un intervento artistico urbano non autorizzato. Considerando le condizioni disastrose - con tanto di intonaco pericolante come si vede in foto - in cui i proprietari tengono questo palazzo dove Gino ha il locale, palazzo di 5 piani costruito negli anni 60 abusivamente, in un'area che era destinata a ospitare solo case al massimo di 2 piani, ho ritenuto che Gino non meritasse quel degrado e che, per dare un po' di equilibrio all'incuria, il muro del barbiere cantante del Quadraro fosse degno di un omaggio e di un piccolo tocco di bellezza.

Democrazie occidentali

Queste nostre occidentali sono democrazie in stato avanzato.
Di decomposizione.