27 dicembre 2012

Hanno ammazzato Socrate, brutti bastardi!

(Approfitto delle vacanze per riguardare il film di South Park, stavolta con mia figlia Sofia di dieci anni. Mentre discutiamo sui perché dicano tutte quelle parolacce mi viene in mente di riproporvi qui un libro di qualche tempo fa...)


Se pensate di avere la verità in tasca Stan, Kyle, Kenny, Cartman e soci vi faranno abbassare la cresta. «La percezione che le persone hanno della verità non è altro che una percezione, ed è giusto ridere di loro», scrive Robert Arp, docente alla Southwest Minnesota State University e curatore della raccolta di saggi South Park e la filosofia (ISBN Edizioni, 17 euro).

Immanuel Kant (1724-1804), Friedrich Nietzsche (1844-1900), Socrate (469-399 a.C.) e Ludwig Wittgenstein (1889-1951) visti dagli autori di South Park Trey Parker & Matt Stone

Da sempre la satira invita a riflettere sulle questioni che di rado mettiamo in dubbio.
E idem fa la filosofia, dice il volume, che stronca i pregiudizi dalle prime righe.
South Park «si beffa del credo religioso, porta i giovani a mettere in dubbio l’autorità e i valori accertati, corrompe i nostri figli e la nostra cultura».
Ma attenzione, ad Atene nel 399 a.C. le stesse accuse furono alla base del processo contro Socrate e causa della sua esecuzione.
South Park dice «ciò che non è socialmente o moralmente accettabile – ciò che in termini freudiani deve essere represso». Infatti abbiamo tutti pulsioni, desideri, emozioni ed energia aggressiva che reprimiamo e che andrebbero invece espressi e guidati attraverso il pensiero. La repressione riduce queste spinte? No, le relega all’inconscio dove prima o poi esploderanno. South Park apre un varco. La risata è rilascio di energia repressa e infatti abbiamo bisogno dei comici e di chi fa satira perché sono terapeutici.
Ma come la mettiamo con razzismo, blasfemia e handicap presi per i fondelli? Quando gli autori Trey Parker & Matt Stone bollano l’ex-presidente USA Bush come “Panino alla Merda” offendono il potere. Quando fanno manovrare a Cartman un pupazzo di Jennifer Lopez sculettante dall’insaziabile voglia di burro e tacos, sbeffeggiano gli ispanici, una minoranza.

Quando Ben Afflek, fidanzato della Lopez, finisce col fare sesso col pupazzo, ovvero con la mano di Cartman che ha solo dieci anni, fanno ironia nientemeno che sulla pedofilia.
E quando la statua della Madonna spruzza sangue in faccia al Papa e lui conclude che le perdite dalla vagina non sono un miracolo, sono blasfemi.


Eppur si ride.
Arp e soci allora si chiedono: è sbagliato moralmente ridere degli ispanici? E del Papa? E degli handiccapati? Come si fa a difendere due autori che detengono il record di maggior numero di oscenità pronunciate in un film animato per South Park: il film – Più grosso, più lungo & tutto intero? Semplice. Non serve essere razzisti per ridere di una battuta razzista, né blasfemi per ridere del Papa, di Maometto, Buddha o della statua della Madonna.

Siamo in grado di immedesimarci, di immaginare «cosa voglia dire essere un razzista e la descrizione che darebbe di una donna ispanica».
E riderne.


Ma «ciò che si immagina non ha necessariamente a che fare con ciò che una persona crede, pensa, vuole, approva o persino desidera segretamente».
Anzi, la capacità di immedesimarsi nel razzista rende potenzialmente più disponibili a discutere di razzismo. 

I filosofi del libro osservano che, malgrado South Park possa apparire distruttivo e nichilista, discende «da una lunga tradizione comica che fin dagli ateniesi ha unito filosofia e oscenità. Nell’opera teatrale Le nuvole di Aristofane ci sono tante battute sui peti quante ce ne sono in un episodio di Trombino & Pompadour in South Park».
Le volgarità delle piccole pesti della cittadina del Colorado sono quindi un mezzo per accentrare l’attenzione.
Tanto più sono striscianti omologazione, intolleranza e minaccia a diritti umani nella nostra squilibrata società, tanto più le battute di South Park devono colpire basso. Calci nelle palle insomma, senza guardare in faccia nessuno.
La voce di Chef, il musicista Isaac Hayes, per le offese inflitte alla chiesa di Scientology di cui fa parte ha persino lasciato la serie.


Ma «sia la filosofia che l’umorismo osceno sfidano l’opinione comune» ed è grazie a quella sfida che siamo costretti a ragionare sull’esistenza di punti di vista distanti dai nostri.
Il fine di South Park - e della filosofia - è infatti «fare in modo che le persone pensino in maniera critica riguardo a se stesse, alle loro credenze e alla realtà» e, grazie allo scambio di idee, far si che si possa «rendere il mondo un luogo migliore in cui vivere».



South Park inietta dubbi, ma dà anche qualche risposta.
Come quando Kyle, che è di religione ebraica, non trovando la felicità nella tradizione del Natale assume la cacca Mr. Hankey come figura natalizia universale, immagine di benevolenza e gioia per tutti, e non esclusiva dei cristiani.

Kyle come Socrate esamina i valori acquisiti e, vedendo che non mirano alla felicità di tutti, li rifiuta anche se questo farà incazzare la maggioranza.
E ognuno di noi può trovare valori personali da assumere come ideali per dare più senso alla propria vita.


Alla fine, come Stan, Kyle, Cartman, Kenny e soci, avremmo un più profondo dialogo sociale e qualcosa da dire su cosa abbiamo imparato oggi, cazzarola!

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