Daniel Johnston è un mostro buono, una leggenda dell’indie
rock, un pazzo diabetico.
Lui si considera un artista visivo, e dice di fare il
musicista solo per caso.
Il giorno in cui avrebbe dovuto registrare con Lou
Reed è stato arrestato perché ha vandalizzato la Statua della Libertà con una
scritta contro Satana.
Due settimane prima dalla sua prima mostra davvero importante,
preparata in collaborazione con l’artista Ron English, è stato
internato in un ospedale psichiatrico.
Ma Daniel Johnston è soprattutto un
mito. Nel disco “The late Daniel Johnston” mostri sacri del rock si cimentano
in cover dei suoi brani, da Tom Waits a Beck, dai Flaming Lips agli Eels, e ancora Mercury Rev, Teenage Fanclub, Tv On The Radio e molti altri.
Come molti altri la prima volta che
ho visto un suo disegno era su una maglietta che indossava Kurt
Cobain ed era il personaggio Jeremiah la rana che guardava stupita chiedendo: “Hi,
how are you?”.
Cobain adorava la musica di Daniel Johnston, e così i Sonic
Youth, i Butthole Surfers e il papà dei Simpson Matt Groening.
La prestigiosa
Biennale del Whitney Museum of American Art di New York del 2006 ha esposto i
suoi lavori ed è stato girato un film su di lui.
Eppure la storia che vi sto
per raccontare è quella di un uomo molto fragile, nato a Sacramento,
California, nel 1961.
Lo chiamo a casa alle 12 di sabato ed è suo papà Bill a
rispondermi. «Daniel sta dormendo, aspetta che lo sveglio».
Bill si occupa
degli impegni di suo figlio, risponde lui al telefono. Non hanno computer in
casa. Mi chiede se voglio spedirgli l’intervista via posta ordinaria e mi da’
l’indirizzo della loro casella postale.
Si sentono dall’altra parte della
cornetta gli odori della provincia americana, le camice a scacchi, i
marshmellows sul barbecue, i fucili nei portabagagli delle jeep. Dopo qualche
minuto arriva Daniel, la voce stridula e forse ancora un po’ impastata dal
sonno. Non si indispettisce ché l’ho svegliato, anzi è contento che voglio parlare di lui e della sua arte. “Disegno da quando ero bambino” mi dice. «Ho sempre disegnato, ho
sempre prodotto tantissimi fumetti soprattutto, e molti personaggi che ho
creato mi accompagnano fin dall’infanzia. Allora il mio obiettivo era quello di
guadagnarci di che vivere. Sto ancora cercando di pubblicare un libro coi miei
fumetti. Ho avuto delle offerte, ma mi sto guardando attorno».
Ha iniziato a fare
fumetti a otto anni.
«La maggior parte erano sul mio gatto, che trasformavo in
supereroe. Qualche volta erano storie della Bibbia, ma adoravo soprattutto
Godzilla e King Kong. Mia mamma doveva comprarmi continuamente della carta».
Alle scuole superiori Daniel scopre i Beatles, che diventano
un’autentica ossessione per lui. Passa ore e ore a studiare al pianoforte i
pezzi dei 4 di Liverpool. «I Beatles sono i più grandi”, ha dichiarato otto
anni fa, «torneranno insieme alla fine del mondo. Loro torneranno e torneranno
presto. Marilyn Monroe tornerà. Sarà una specie di riunione di famiglia».
Dopo le superiori Daniel frequenta la scuola d’arte in Ohio
e, perdutamente innamorato della sua compagna di banco Laurie, che lascia il
college per sposarsi incinta, Daniel inizia a registrare canzoni dedicate a
quell’amore non corrisposto. “Songs of pain” del 1981 e “More songs of pain”
dell’83 sono entrambi lo-fi e amatoriali, registrati su un registratore a cassette
Sanyo da 59 dollari.
Dovendo interrompere la scuola a causa delle sue frequenti
depressioni, si trasferisce a Houston col fratello Dick. Nel garage registra
“Yip/Jump”.
Cambia nuovamente città e va a vivere a San Marcos, dove registra
“Hi, how are you?” nel mezzo del suo primo forte crollo di nervi.
Quando la
famiglia ritiene che sia arrivato il momento di farlo ricoverare Daniel parte
con una compagnia di giostrai e per nove mesi lavora con loro in Arizona,
Colorado e New Mexico. Finché non si stabilisce ad Austin in Texas perché aveva
sentito dire che fosse una specie di Mecca del fumetto underground.
È il 1984 quando
conosce l’artista Ron English. Mentre quest’ultimo dipingeva i clown Ronnie
McDonald’s sovrappeso che lo hanno reso celebre e che fanno da testimonial al film “Supersize me”,
diretti contro il colosso dei fast food USA, Daniel ci lavorava diligentemente dentro. «Quando ci siamo conosciuti Daniel distribuiva cassette di fronte a un
club. Mi ha dato una cassetta e si è presentato: ciao mi chiamo Daniel Johnston
e sono il songwriter dell’anno», ricorda Ron.
Parlarono di fumetti e del loro comune universo popolato da
personaggi da cartoon, e divennero inseparabili. In quel periodo Daniel stava
attraversando un’altra fase della sua malattia mentale. Nel 1986 Ron si
trasferisce a New York e si perdono di vista. A metà anni 90 tenta di contattare
Daniel ma nessuno sa indicargli dov’è finito.
Il suo ultimo disco “Fun” è di 5
anni prima.
Daniel & Ron English
Lo ritrovò Susan, la sorella di Ron, a Waller in Texas, dove vive
tuttora. Era tornato coi suoi genitori, ed era vittima di continui stati
depressivi che lo tenevano spesso costretto a letto, lontano dalla sua musica e
dalla sua arte. Ron lo raggiunse, provò a coinvolgerlo nel preparare una mostra
assieme, con una performance artistico-musicale, ma due settimane prima
dell’inaugurazione Daniel entrò in un ospedale psichiatrico. Viene in mente un suo
disegno in cui, legato con la camicia di forza e incatenato, grida: "io devo
uscire di qui!! Perché devo andare a MTV!!".
Ha anche una proposta dalla Elektra ma si
rifiuta di firmare perché teme che i Metallica, che hanno un contratto con
quell’etichetta, siano legati a Satana.
Attende La Grande Tribolazione, che
dice «è nella Bibbia, nel Libro delle Rivelazioni. Molti supereroi vi sono
descritti. Parlano di angeli, ma è tutto scritto là se apri la mente quando lo
leggi. Dio non lascerebbe iniziare una Grande Tribolazione se non ci fossero i
supereroi là attorno».
Dopo numerosi ricoveri e cure antidepressive da fine
anni 90 il suo stato di salute mentale migliora. «Ora la musica mi da’
soddisfazione perché mi da’ di che vivere e il disegno mi da’ continue
soddisfazioni perché posso continuare a far vivere nei miei disegni e nei miei
fumetti tutti i personaggi che ho creato fin dalla mia infanzia», mi racconta.
Jeremiah la Rana è il suo alter-ego, è la pura innocenza mai contaminata dall’esperienza. È il suo mondo infantile rimasto intatto. “Io sono un bambino nel mio universo! Io vivrò per sempre!” recita.
Poi c’è The Duck, una papera che sa guidare carriarmati, usare il computer e suonare rock’n’roll. È disegnata come un pene con due testicoli. «Mi hanno detto i miei amici che era fallica e solo allora mi sono accorto che era vero».
Sassy Fras è il gatto dell’infanzia di Daniel.
Joe il pugile è un uomo che combatte contro i suoi demoni, poi c’è Laurie, la sua eterna musa e ossessione amorosa. Per lei ha scritto tutte le sue canzoni d’amore di questi 20 anni. E nel circo dei suoi personaggi ci sono mostri buoni come King Kong e Frankenstein. Quando afferma «io amo Frankenstein perché amo me stesso», si capisce la loro origine.
Poi c’è Casper il fantasma, reso invincibile dalla propria morte, e infine l’immancabile Capitan America che, come i giusti delle vicende bibliche, difende il bene con ogni mezzo. «Il mio personaggio preferito è Capitan America, lui è il mio eroe» ci tiene a precisare, «e il suo disegnatore Jack Kirby è il mio autore di fumetti preferito, ho studiato i suoi disegni per 24 ore al giorno. E la passione che ho per Capitan America è il riflesso del mio amore per gli Stati Uniti. Ho viaggiato in tutto il mondo ma amo il mio Paese. Sono stato anche in Germania e là mi sono entusiasmato davvero, perché sono appassionato di Seconda Guerra Mondiale».
C’è chi potrebbe restare di stucco di una simile risposta.
E magari immaginare Daniel che, dopo l’intervista, attacca il ricevitore e va a bruciare qualche nemico del Bene, in quel macho macho Texas che ha dato i natii ai George Bush, padre e figlio.
Ma non è così.
Per Daniel realtà e immaginazione non sono poi così diversi. Infatti non solo i suoi personaggi sono vivi. «Per me i film dell’orrore, “Ai Confini della Realtà” o le commedie, esistono davvero ed è fondamentale che io sia in grado di esprimere queste cose nella mia arte perché così diventano reali e concreti per me. Non sono veri finché non gli disegno una cornice attorno».
E il Diavolo, dov’è finito in questa storia?
«Non lo so, hanno cambiato anche il titolo del film su di me all’ultimo momento, chiamandolo "The Devil and Daniel Johnston”.
Forse perché mi vogliono a fianco al diavolo. Tutti vogliono vedere Daniel vicino al diavolo.
Ma ricordati che non si deve giocare col Diavolo, perché lui bara».
(tnx to my sista Ila, che ha telefonato al grande Daniel assieme a me <3)
Bellissimo articolo. Grazie... Amo e seguo Johnston da anni, da quando non so come scoprii una sua canzone... Curiosai, e dopo anni non ho ancora finito, e questo bel ritratto della sua quotidianita' e follia mi ha dato molto...
RispondiEliminaGrazie a te sia per la lettura che per l'apprezzamento Alfredo, a presto! d_
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