26 agosto 2019

Appia un pugno, Latina una carezza

In questi giorni sto terminando di dipingere le opere che saranno incluse nella mostra "Da Sketch a MURo" che si terrà alla galleria Rosso20Sette di Roma dal 5 ottobre al 16 novembre 2019 e che chiuderà il MURo Festival.

La mostra e il relativo catalogo si concentrano sulla fase di ideazione - oltre che ovviamente su quella della realizzazione - di alcune delle opere del MURo Museo di Urban Art di Roma attraverso i dipinti, gli schizzi e le immagini dei murales di una minima parte dei protagonisti del progetto MURo, ovvero cinque artisti selezionati tra quelli che hanno collaborato ai nostri progetti più recenti: Jim Avignon, Lucamaleonte, Beau Stanton, Nicola Verlato ed io.

Io, per le mie opere in mostra, mi sono concentrato sul concetto di Appia e Latina - che è anche il titolo del murale che ho dipinto qualche mese fa nel progetto MURo mARket per il Mercato Menofilo di Roma - perché mi sono accorto man mano che giungevo al disegno definitivo facendo schizzi, progettando la composizione e i suoi elementi e scattando foto a Serena - mia compagna di vita, di lavoro e anche modella di questa opera - che queste due antiche strade di Roma sono diventate per me i simboli di due differenti modi di esistere e di porsi verso l'altro: Appia è il pugno, Latina è la carezza.

 
Il murale "Appia - Latina" al Mercato Menofilo di Roma, presso il quartiere Quarto Miglio 

Abbiamo solo due comportamenti di fronte a ciò che ci coinvolge: limitarci a partecipare emotivamente, esaltandoci di fronte a ciò che istintivamente ci piace e opponendoci con rabbia a tutto ciò che disprezziamo o che non condividiamo, oppure decidere di comprendere - di prendere in sé - ovvero inglobare tramite il pensiero tutto ciò che ci interessa e ci coinvolge in una nostra visione più ampia della realtà.
Ci sarebbe una terza opzione: la noncuranza. Ma fregarsene di tutto ciò che accade nel mondo e attorno a noi - se davvero una persona, un evento o un'informazione ci ha colpito - non lo includo certo tra i comportamenti autentici. Quello è un limite auto-imposto di chi di solito vive intrappolato nella propria testa e sarà un argomento che affronterò magari in un'altra opera e in un'altra occasione.

Dunque, quest'immagine - e ciò sta diventando più evidente anche per me che l'ho dipinta - simboleggia la necessità di far incontrare due modi differenti di sentire la realtà. Illustra un tema che va affrontato con urgenza nel periodo storico che stiamo vivendo: non fatevi ingannare dalle apparenze, queste due donne sono in realtà una sola.

Mi spiego meglio.

La via Appia, cioè la prima figura a sinistra, rappresenta la reazione d'istinto, la conquista e la rabbia, la paura che si trasforma in odio. È l’umano che vuole prevaricare l'altro umano e ritiene ciò un inevitabile gesto di sopravvivenza, e prevarica così la Natura stessa. È l’intolleranza e il disprezzo verso l’altro, ovvero verso chiunque riteniamo diverso da 'noi', verso chiunque è fuori dal nostro rassicurante quanto piccino concetto di 'normalità'.
Appia è la paladina di tanti sentimenti negativi che sono emersi con crescente prepotenza in questi ultimi anni in Italia, in Europa, e in tutto il mondo. Appia è l'aggressiva, colei che si pone sempre e comunque contro, in guerra appunto. Appia è infatti un militare, obbedisce perciò al comando del capo senza il permesso, né la necessità, né tantomeno la libertà di metterlo mai in dubbio.
E, d’altronde, la Regina Viarum delle strade è un percorso che fu aperto in base a logiche militari, come tantissime infrastrutture, tecnologie e opere di ingegneria moderne e contemporanee sono state inventate e/o costruite per la guerra e poi adibite ad usi civili (a partire da Internet, ma anche le autostrade, il nucleare, e tanti altri prodotti dell'ingegno umano). È una strada ampia, diritta, che consente spostamenti rapidi per le truppe tra l'antica Roma e le sue conquiste, fino al porto di Brundisium (Brindisi), da dove ci si imbarcava per l'Oriente.
Ed è anche una via che, nei secoli, si è riempita di tombe.

La via Latina della mia opera - cioè la figura sulla destra - è invece il simbolo del sentimento di inclusione e di condivisione, è colei che accarezza la sua nemica perché sa che ha il suo stesso volto e che, malgrado le apparenze, i loro cuori battono all’unisono.
Lei è in grado di vedere che loro due sono uguali, e sa che entrambe sono una piccolissima parte di una totalità, quella che chiamiamo Natura e che è la nostra grande madre generatrice. La via Latina ha i sentimenti che dovrebbe avere ogni individuo adulto che ha guarito le proprie ferite e sciolto i propri traumi e può dunque andare incontro a tutto ciò che gli è estraneo e nuovo con sentimenti di curiosità e comprensione, quelli della persona matura che cerca di capire prima di decidere come agire di conseguenza.
A Roma la via Latina è infatti una via molto più antica della via Appia, risale all'età preistorica, ed è più sinuosa e di difficile percorribilità, ma molto più panoramica e ricca di bellezze naturali ed archeologiche.

Se si percorrono entrambe verso il centro di Roma queste due strade si uniscono dentro le mura della Città Eterna, all'altezza delle Terme di Caracalla. Se si percorrono verso l'esterno, si allontanano dalla città, formando un triangolo, visibile anche come sfondo della mia opera.
Provengono dunque da un unico punto di partenza, Appia è il cuore e Latina l'intelletto.
Quest'opera simboleggia dunque la loro eterna lotta, alla quale si può porre fine solo lasciando emergere in ognuno l'adulto che è in sé, ovvero quella forza di volontà capace di tenerli uniti come due facce di un'unità.

Che è quello che nei fatti, indiscutibilmente, sono.





Lavori in corso per le opere della mostra "Da sketch a MURo", dal 5 ottobre a Roma.

12 agosto 2019

Intervista su Wanted in Rome (agosto 2019)


 La versione originale dell'intervista, in inglese, è QUI sul sito web di WANTED IN ROME.

Come è nata la tua passione per l'arte, in particolare street art, e da quanto tempo stai dipingendo in strada?
Da bambino disegnavo sempre quello che vedevo attorno a me, anche mentre guardavo la tv o leggevo fumetti copiavo tutto. Mi ricordo che fu la mostra “I love Paperino” a Palazzo Braschi nel 1984 a farmi scoprire che fumetto e pittura potevano convivere, grazie alle opere di artisti come Schifano e Ugo Nespolo a fianco a quelle di Andrea Pazienza, Jacovitti e ai paperi di Carl Barks.
A lavorare in strada ho iniziato nel 1992/1993, incollando poster coi miei personaggi disegnati. Poi mi sono dedicato a lungo a fumetti ed editoria, senza smettere mai di riempire sketchbooks e di dipingere grandi tele, e solo nel 2009 sono tornato a fare opere in strada. Dal 2010 ho iniziato a fare murales sempre più spesso perché dipingere tra le persone e negli spazi vissuti da tutti è come una dipendenza. Se l'arte è relazione la Street Art è relazione all'ennesima potenza.

Puoi descrivere il tuo stile e la tua più grande fonte di ispirazione?
Non mi interessa che un mio lavoro sia immediatamente riconoscibile, graficamente parlando, e infatti uso tecniche e segni diversi a seconda del tipo di disegno o di dipinto che devo fare. Credo che, malgrado ciò, il mio modo di disegnare sia facilmente riconducibile a me.
La mia più grande fonte di ispirazione è la realtà che si nasconde dietro alle apparenze. Nelle mie opere cerco di rappresentare il vero, che non è ciò che vediamo ma ciò che quella superficialità visibile nasconde. Per capirci, mi interessa di più catturare la luce dello sguardo di una persona che fargli un ritratto riproducendo le sue fattezze.

Sei il curatore di MURo Museo Urban di Roma e anche GRAArt, puoi dirci qualcosa di questi progetti?
Sono entrambi dichiarazioni d'amore verso la Città Eterna. Roma è come una nonna di tremila anni che ha infinite storie da raccontarci, e dipingere nelle sue strade è un po' come tatuare la sua pelle: non si può prescindere da quelle storie. MURo è un progetto che ho avviato spontaneamente dieci anni fa al Quadraro, chiamando colleghi artisti di tutto il mondo a raccontare attraverso i murales le storie del quartiere, e che poi si è allargato prima a Torpignattara e poi a tutta la città producendo negli anni decine di opere. GRAArt invece è nato già grande, nel 2016, grazie a una commissione di ANAS e ha finora realizzato 17 grandi murales attorno al Grande Raccordo Anulare che si relazionano con la storia dei luoghi di Roma dove sono dipinti e si propongono perciò di divenire dei simboli di quelle zone.

Sei noto a Roma per le tue opere di grande misure come i ritratti (PopStairs) dipinte sulle scale in zone della città come Trastevere e Trionfale - qual è la tua tecnica per realizzarli?
Sono opere dipinte sulle scalinate e dedicate alle donne, e ho iniziato a realizzarle perché credo che questa città abbia bisogno di più monumenti 'al femminile'. Ogni opera richiede almeno una settimana di lavoro e uno staff di 2 o 3 assistenti oltre me, tutti inginocchiati per più di 12 ore al giorno. Quindi la tecnica direi che sta tutta nella preparazione fisica!

Dove sono i tuoi lavori principali, e c'è una zona di Roma dove sono più concentrati?
Sono soprattutto nelle periferie perché lavorando su grandi dimensioni non è facile ottenere permessi per le facciate dei palazzi dei centri storici. Anche se ritengo che ad artisti di chiara fama e lunga carriera si dovrebbero concedere, perché le città sono vive anche grazie alla stratificazione delle opere d'arte prodotte nel corso dei vari secoli. A Roma comunque ho dipinto ovunque, sul sito diavu.com nell'area Outdoor abbiamo messo una mappa dei miei murales proprio per rispondere dove sono con esattezza.

Quali sono i tuoi prossimi progetti?
A ottobre parteciperò alla mostra collettiva alla galleria Rosso20Sette Arte Contemporanea "Da sketch a MURo" che chiuderà i vari eventi del primo MURo Festival e produrrà un catalogo che celebrerà i primi 10 anni del progetto MURo. Poi se ci riuscirò mi piacerebbe coniugare tre miei amori: street art, editoria e musica. Nel frattempo dipingerò tanti altri murales.