29 giugno 2014

Chi ha paura dell'Arte Pubblica?

Torno a scrivere di Arte Pubblica e in particolare del progetto MURo, il Museo di Urban Art di Roma di cui mi occupo come curatore, e lo faccio ispirato da una persona che in questi ultimi giorni lo sta attaccando, coprendo le opere murarie con le sue scritte. 
Si tratta di un ragazzo di quasi trent'anni (si è firmato come writer, ci sono voluti perciò circa tre minuti per capire di chi si trattasse) che tre anni e mezzo fa fu autore assieme ad altri writer di un bel gesto ben diverso nei confronti del progetto (questo, e ne parlo qui).


Il murale di Camilla Falsini  prima di venire ricoperto e dopo.

Ma facciamo una premessa.
Malgrado le opere d'arte realizzate in strada siano estremamente fragili quelle del progetto MURo al Quadraro sono rispettate da quattro anni. 
E questo a me è sempre sembrato un miracolo.

Sono rispettate forse proprio perché è del quartiere dove sono nate che parlano, della sua storia e della sua identità, di una Roma del Novecento tutta da raccontare, che al Quadraro resiste ancora nei discorsi dei tanti anziani e nei modi, nei gesti e nelle frasi di molti uomini e donne. 
È una Roma che da quei muri parla di guerra, fame, miseria, soprusi, di espedienti e di ogni forma di resistenza, di Q44 come di neorealismo e Cinecittà. 
Una Roma anche difficile se vogliamo ma proprio perché autentica, che tiene alle proprie radici pur cambiando rapidamente la cima, che si arricchisce di nuovi abitanti provenienti da ogni parte del mondo, e che saprà imparare a conviverci inventando nuove storie. 

L'Urban Art - che speriamo diventi sempre più l'Arte Pubblica di domani - questo percorso (inevitabile) di cambiamento lo può rendere più bello, più civile e soprattutto più ricco. Questo ho pensato io quando ho iniziato questo viaggio e l'ho sottoposto al quartiere dove vivo ora, dove è nata e cresciuta mia madre e dove sono arrivati i miei nonni da giovani, cacciati da casa dalle bombe degli aerei angloamericani.

I murales del MURo (Museo di Urban Art di Roma), con la loro estetica contemporanea, fanno ormai parte di questo cambiamento. Sono le opere di una collezione d'arte i cui proprietari sono tutti i cittadini del quartiere, una collezione che cresce e che manifesta il desiderio di diventare uno strato artistico e culturale urbano che si unisce a quelli preesistenti per tramandare storie di questo territorio ed emozioni a residenti e visitatori. 

Già, perché il MURo è un modello che intende accogliere visitatori appassionati d'arte da ogni parte del mondo, proprio per raccontargli questi luoghi e queste persone attraverso l'arte visiva pubblica.

In questo senso il MURo è un vero e proprio museo coi suoi percorsi critici, ma è un'idea rivoluzionaria di museo pubblico, urbano e mutevole, proprio come la strada. 

Non vuole cambiare radicalmente il panorama urbano del quartiere dove opera, vuole bensì agire su alcune aree di questo per fornirgli ulteriori chiavi di lettura culturali. 
Per questa forma di rispetto che devo alla storia e alla memoria, come curatore peso sempre con molta attenzione la scelta dell'artista in base all'intervento specifico che andrà a fare. 
Gary Baseman, figlio di ebrei polacchi sfuggiti all'Olocausto, era per me la persona adatta a trasmettere attraverso la sua opera con empatia la deportazione nazista degli uomini del Quadraro del 17 aprile 1944. 
Ron English, artista noto per le sue battaglie di guerrilla art contro multinazionali prive di qualsivoglia etica, era la persona giusta per finire nel documentario di Sky ARTE "MURo a Roma" che racconta su scala nazionale e internazionale un grande artista combattivo all'opera in un quartiere altrettanto combattivo. 

E così via, in una relazione continua tra luogo, concept dell'opera da realizzare e artista selezionato.

Ho già parlato altrove del valore politico che per me ha il MURo, ma lo ripeterò anche qui. 

Per me ha lo stesso valore che ha il fare Arte Pubblica da artista, ovvero, oltre a restituire l'arte stessa ai legittimi fruitori che beneficiano gratuitamente di questa ricchezza (culturale ed emotiva, non economica), restituisce gli spazi ai cittadini che tornano ad esserne i legittimi proprietari. La dipingi e quando vai via la dimentichi perché non è più tua.
E' dunque naturale che ci sia anche chi vandalizza le opere in strada, come c'è chi vuole conservarle e restaurarle dal tempo e dagli attacchi vandalici. Fa parte del gioco, sono loro i legittimi proprietari, e dunque anche un'opera di Street Art spontanea può stimolare discussioni e mettere alla prova la tanto agognata democrazia.
Quando scrivo di spazi restituiti ai cittadini mi riferisco soprattutto ad aree spesso lasciate al degrado, all'incuria e all'imbruttimento dalle stesse amministrazioni - quindi facili preda di singoli prepotenti che le recintano e le fanno proprie o di speculatori che, approfittando dell'abbandono di un territorio e dello stato inagibile di alcuni immobili, investono pochissimo nell'acquistare, per ristrutturare con poco e poi rivendere, ottenendo molto.

Il MURo è un progetto che, per fronteggiare queste logiche, fin dall'inizio si è voluto fare ispiratore di una rinnovata consapevolezza dello spazio pubblico e condiviso, e molti cittadini lo hanno percepito come stimolo per lavorare assieme per il bene comune e per difendere i propri diritti. 
Il MURo si è voluto fare inoltre ispiratore per la costituzione di una rete attiva tra le varie attività commerciali della zona in cui opera e per questo ha creato un'associazione no-profit i cui soci - e tutti possono diventarlo - avranno sconti e benefici in tutte le attività supporter del progetto. 
In questo modo il MURo si augura di riuscire a portare nuovi clienti a quelle attività, vista la depressione commerciale di un'area come il Quadraro vecchio in cui per ogni negozio o locale aperto ce ne sono 10 chiusi.




I murales di Diavù, Zelda Bomba, Malo Farfan, Dilkabear e Paolo Petrangeli colpiti dal responsabile dell'atto vandalico

E per quanto riguarda gli introiti del MURo? 
Vi spiego. 
Delle entrate economiche prodotte dai tour in bicicletta e a piedi, dagli aperitivi e dagli incontri che di rado organizziamo il MURo recepisce una minima parte, quando la recepisce (dagli aperitivi e dagli incontri non recepisce nulla, per capirci). 
Ad esempio, sui 20€ del costo del tour in bici alla cui organizzazione lavorano ben 4 realtà differenti tra pulizia dei murales, affitto delle bici, assistenza tecnica e guida critica tra i murales, ne entrano al MURo 5€, che usiamo in genere per l'acquisto di materiali utili alla realizzazione dei murales. 
Ci vogliono dunque 20 partecipanti per comprare un solo secchio di tinta acrilica. 
Questo per fare chiarezza sul nostro codice etico, che ci fa accettare donazioni e volontari, ma non ci permette di sfruttare il lavoro di nessuno, né di chiedere soldi pubblici destinati ad altri servizi, né di accettare sponsor che vogliono decidere le tematiche dei murales piuttosto che imporre loro artisti, o compromessi simili.

Ma veniamo ai fatti degli ultimi giorni, quindi all'argomento del post.
Da una settimana circa si aggira questo uomo a cui accenno sopra che sta deturpando i murales e che in questa maniera amareggia degli abitanti e dei frequentatori abituali del quartiere, ma che, suo malgrado, sta anche moltiplicando il valore sociale e politico del progetto. E non di poco.

Dopo essere stato identificato, per qualche giorno ha dichiarato lui stesso sotto nickname su Facebook le sue azioni di vandalismo, postando attacchi e commentando le immagini dei murales deturpati apparsi su varie pagine e, dichiarandosi acerrimo nemico della gentrification, ha tentato di farsi paladino di una battaglia contro la "pignetizzazione" del Quadraro, che il MURo porterà al quartiere secondo ciò che lui ha scritto. 
Ho tentato di capirlo all'inizio, ma quello che ho percepito erano dichiarazioni a senso unico, confuse e contraddittorie, accompagnate dal negarsi quando ho proposto di incontrarci per parlare degli argomenti a cui si riferiva, e da gesti violenti come il proseguire nel danneggiamento delle opere d'arte del quartiere (e non solo, ci sono episodi per cui uso il termine "violenti", di cui non sta a me trattare in questa sede).


Il murale di Dilkabear e Paolo Petrangeli dopo il danneggiamento.

Passare davanti ai 6 murales deturpati, come cittadino, oggi mi provoca due pensieri e una domanda.
Il primo è che il senso di quelle opere d'arte è ancora più forte e potente ora, mentre reagiscono mostrando la bellezza che traspare ancora sotto quella violenza che non è riuscita a cancellare il loro valore artistico e culturale (e ne ha anzi evidenziato il valore sociale e politico). Perché una violenza subita non può migliorarci, ma la nostra reazione può farlo, per questo a volte dovremmo essere grati ai nostri aguzzini. 
Quindi è grazie a questa persona che anche il MURo, come le sue opere, reagirà migliorando.

Il secondo pensiero va proprio ai nazisti, che il Quadraro purtroppo ricorda bene, che mandavano al rogo l'arte "degenerata", perché li spaventava, come fanno poi tutti i regimi autoritari contro chi li costringe a guardare alle proprie contraddizioni e crudeltà. Restano foto, documenti, e testimonianze che quell'arte c'è stata e ha portato un cambiamento, malgrado quella loro censura definitiva e infame. Resta la Storia, e i cambiamenti spaventano chi teme di finire fuori dalla Storia, chi non sa accogliere, né rinnovarsi. 

La domanda è: chi deturpa i murales, così come chi giustifica questo atteggiamento vandalico e ne condivide il metodo, si è forse sentito escluso da un dialogo in atto da quattro anni tra arte e territorio e per questo sta reagendo così? 
In tal caso deve essere consapevole che si sta escludendo da sé, perché MURo è un progetto per sua natura inclusivo, basterebbe parlarci tra noi per lavorare assieme. 
In quanto curatore del progetto MURo saprei infatti come coinvolgere il responsabile dei danneggiamenti, ma lui e chi agisce come lui sono davvero disposti a mettere in gioco i propri preconcetti e metodologie?

Partirei ad esempio dalla scritta a spray che questa persona ha fatto al Giardino dei Ciliegi, coprendo i dipinti che erano stati realizzati da 5 artisti per i bambini su precise domande dei bambini stessi («mi fai un animale?» «mi fai un mostro?», ecc.). 
Ha scritto coprendo i dipinti "ciao Dario" firmando "Gruppo Quadraro" e si riferisce a una persona scomparsa. Mi sono informato e mi ha detto un ragazzo del quartiere che la scritta in memoria di Dario è un gesto positivo perché è un ricordo, ma io non sarei così convinto che le persone a lui più care siano fiere che venga ricordato così, coprendo col suo nome i dipinti realizzati per dei bambini che ora quando passano di là chiedono «perché lo hanno rovinato?». 
Fossi morto io la mia famiglia non lo sarebbe affatto, ad esempio. Per quanto sia un gesto generoso, l'avrebbe visto più come una strumentalizzazione ai fini personali (o di un gruppo) e forse lo avrebbe anche detto all'autore della scritta.
Non sarebbe il caso di tirare fuori il coraggio di un gesto più umano e gentile ed andare a proporre alle uniche persone legittimate a parlare di Dario, magari le sue persone più care che ora lo stanno piangendo, l'idea di un lavoro da dedicare all'uomo con cui hanno diviso la vita ora scomparso?
Magari un lavoro alla cui realizzazione possano partecipare anche i suoi cari e persone a lui vicine, oltre al nostro writer deturpa-murales e ai suoi amici, e che piaccia a tutto il quartiere e a chiunque lo verrà ad ammirare, non solo a chi lo farà.
Io la penso così perché è solo così che vorranno tutti sapere la storia di Dario. 
Ed è così che infatti lavoro di solito.

P.S.: il nostro deturpa-murales ha oggi dichiarato con un commento nel gruppo Facebook "Residenti Quadraro Vecchio" che non ha coperto lui con la scritta "Brigate Zozze" i murales di via dei Lentuli. Volendo crederci non cambia la sostanza poiché quando si fa una dichiarazione d'intenti come quella di voler danneggiare un progetto artistico nato dal basso e finora rispettato come il MURo e si comincia a farlo davvero e con perseveranza, cercando inoltre di mettere altri writer contro il progetto e contro la Street Art (come lui ha fatto nei giorni scorsi sul profilo Facebook dei writer Dans La Rue), ci si deve prendere la responsabilità delle prevedibili ed ovvie conseguenze. Come quella di un assalto di terzi ai murales del Quadraro.
Anche il MURo in fondo non ha direttamente prodotto, né richiesto, l'intervento artistico del 2013 di Alessandro Sardella, artista abitante del Quadraro, in via dei Corneli, ma lo ha subito apprezzato, ringraziato e riconosciuto come parte integrante del progetto poiché Sardella si è mosso ispirato da questo e coi medesimi intenti.