Era l'autunno del 2005 e del suo libro "Questa è la stanza", edito da Gallimard in Francia e da Coconino Press in Italia, scrivevo così:
La differenza fra la città e la provincia è nell'aria.
In
provincia è molto più pesante.
Certo ci sarà più ossigeno, ne convengo, ma misto a tonnellate
di monotonia. Le stesse facce, le stesse frasi, gli stessi pettegolezzi
trascinati per anni, decenni, per vite intere.
Ogni mattina lo stesso buongiorno dalla stessa persona che
ti si rivolge con lo stesso commento sul tempo, che faccia troppo freddo,
troppo caldo o troppa pioggia c’è sempre qualcosa di troppo per la provincia.
Troppa noia, questo Gipi lo sa perché lui la racconta la
provincia, fregandosene di mantenere buoni rapporti col vicinato che ti dà le
previsioni del tempo lui racconta tutto, racconta della curva dove i ragazzini
per vivere al massimo si vanno a schiantare col motorino, racconta dei nuovi
poliziotti arrivati in paese che ti rovinano la vita senza neanche farci caso,
racconta del cattivo tossico del paese e dell’‘aghino’ che lo ha fatto fuori.
Per noi è ‘tradizione’ Goldrake o il ciocorì, quelle tradizioni
ancorate ai valori umani chi le ha mai viste? Appartengono ai ricordi dei
nostri nonni che li ripetono a pappagallo come copione dei pranzi domenicali. Noi
di ‘old school’ conosciamo i ragù, le piadine e i vari piatti locali da
franchising per palati ‘slow food’. “Mi interessa mettere in scena dei temi molto seri e farli affrontare da personaggi completamente impreparati. Impreparati a vivere, a risolvere le situazioni. Spesso privi di una idea di bene alla quale riferirsi al momento di dover scegliere il proprio percorso. Questo è il modo in cui io e il gruppo di ragazzi con cui ho trascorso l'adolescenza, siamo cresciuti. Una improvvisazione di comportamento. Senza istruzione e senza istruzioni di alcun tipo”.
Racconta una provincia trasformata, quella periferia
dilatata nata dalla manipolazione culturale avvenuta attraverso la televisione,
accoratamente spiegata da Pasolini a metà anni 70 e di cui noi siamo il
risultato.
E così Gipi racconta tutta l'Italia, che è una grande
provincia frammentata dove i cosiddetti giovani crescono facendo lo slalom tra
un modello di vita MTV e uno Giochi Preziosi.
Fa questo ormai da quindici anni coi fumetti e da cinque con
i cortometraggi. E’ il matto del villaggio in edizione speciale: scrive i
dialoghi, li legge ad alta voce, li recita, finché non filano lisci come nella
realtà. Poi lascia fare ai personaggi, li lascia liberi di crescere e
impadronirsi della storia, di divertire e sorprendere lui stesso che ne è
l’autore.
«Quando i personaggi
iniziano a raccontarmi le cose (perchè è così che succede) mi trovo a
specchiarmi nei loro comportamenti, mi ricordo (ogni volta da capo) quanto
siamo rimbecilliti dal mondo moderno. Spesso i ragazzi delle mie storie
vogliono "le cose". Spesso sono preda dell'egoismo più sfrenato. Solo
un senso di fraternità all'interno del gruppo li unisce, all'esterno
solitamente non vedono niente. Non c'è un giudizio in questo. Lo ripeto:
io mi specchio nei personaggi. Sono come loro, un ex ragazzo cresciuto nei
consumi e nel rincoglionimento mediatico. La differenza cruciale, tra me e i
personaggi delle storie è che io, a volte, me ne rendo conto. I miei personaggi
non se ne accorgono mai. Il batterista della band protagonista di
"Questa è la stanza" ha una passione per l'estetica del nazismo. Una
cosa terribile , a pensarci, ma vera. Il batterista della band in cui ho
suonato per anni aveva esattamente questi "gusti". Era una
leggerezza, una passione inconsapevole».
Hanno una band in provincia e sogni di gloria, di fans, palchi e luci della ribalta. «Ho visto i ragazzi incontrarsi, andare a suonare, trovarsi a fare i conti con il mondo "esterno" alla stanza e con le sue regole. E li ho visti nelle loro relazioni con i genitori, con gli amici e pure con la legge».
Così Gipi ha visto e così ce l’ha raccontato.
David Vecchiato, ottobre 2005
(Gipi all'opera, estate 2002)
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