Gent.ma Senatrice Segre,
questo mio murale che lei ha visitato di persona nel 2020 la ritrae bambina in braccio a suo papà Alberto, morto ad Auschwitz nel 1944, così come entrambi i suoi nonni, mesi dopo essere stato arrestato e bruscamente separato da lei. Solo perché ebrei. È un dipinto che ho dedicato a una sua tragedia personale, che in quest'immagine vorrei si facesse universale, una tragedia di cui provo immenso rispetto. Le confesso che però da tempo mi inquieta il solo pensiero di averlo dipinto, e imputo questo mio disagio alla stampa, che impone le opinioni di una vittima e testimone di un orrore su di un altro orrore della Storia che stiamo vedendo accadere ora, ogni giorno sotto i nostri occhi. È un orrore che non la riguarda direttamente eppure si chiede continuamente a lei di spiegarcelo, come se chi ha subìto un orrore della Storia detenesse il diritto di condannare o assolvere tutti gli altri. Ma chiediamo mai a chi ha subìto una strage in passato di spiegarci se le vittime di stragi oggi si possono definire tali o no? No, perché sarebbe delirante e terribile. La nostra civiltà ha sviluppato metodi oggettivamente più efficaci e concreti per accertare i crimini, anche quelli storici. Però lo facciamo con il genocidio del popolo palestinese, e lo facciamo crudelmente con lei signora Segre. Crudelmente - perché ciò che lei ha vissuto difficilmente concede il lusso di un punto di vista oggettivo - le chiediamo come dobbiamo o non dobbiamo chiamare tutto ciò, e le chiediamo di lavare le nostre coscienze. E lei - in buona fede voglio credere - pazientemente le lava, esortandoci a non chiamarlo con quella brutta parola per non strumentalizzarla contro gli ebrei, per non offendere le vittime dell’Olocausto, per non privare il suo popolo del proprio legittimo dolore.
Senatrice Segre, lei - importante esponente del popolo ebraico e simbolo vivente dell’Olocausto - sa benissimo che le sue dichiarazioni cadono come macigni nel dibattito pubblico italiano e avrà notato che incoraggiano anche esponenti della Lega a sentirsi legittimati a proporre una legge anticostituzionale che equipara ogni dissenso nei confronti del governo israeliano all’antisemitismo, rendendo un legittimo diritto sancito dalla nostra Costituzione di fatto un crimine. Una proposta che, trasformata in legge, priverà anche ogni ebreo del diritto di parola e di opinione, perché anche un ebreo che si esprimerà contro il governo israeliano potrà essere accusato di essere antisemita. Le sue stesse dichiarazioni contro i metodi del governo Netanyhau potranno essere, per assurdo, usate contro di lei.
Io credo alla sua buona fede e mi sforzo di comprendere quanto terribile possa essere la sua angoscia nel vedere un ritorno dell'odio antisemita in Europa e nel mondo, ma credo anche che una persona com'è lei non possa non accorgersi che - se mettiamo da parte gli odiatori seriali e i nostalgici del nazifascismo - sono proprio le intollerabili atrocità del governo israeliano e le violente e ingiustificabili reazioni dei governi occidentali alle legittime proteste dei propri cittadini a far crescere nelle menti più fragili questa confusione di emozioni nei confronti del popolo ebraico oggi. Per questo credo anche che ogni ebreo che ha a cuore la storia del suo popolo dovrebbe prendere subito apertamente le distanze dalle azioni del governo di Israele e condannare questo genocidio, chiedendo alla Corte penale internazionale e ai propri Stati di fermare e punire le persone che lo stanno commettendo, così come stabilito dalla Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948.
Le leggi razziali fasciste del 1938 si sono promulgate anche grazie alle parole di intellettuali e scienziati esaltati dalla propaganda per le proprie dichiarazioni sulla superiorità di una razza su un’altra, di un popolo su un altro, e questo lei lo ha pagato sulla propria pelle. Per questo gentilissima Senatrice Segre quando parla e scrive ricordi che purtroppo è anche attraverso le sue parole che a tutti noi stanno imponendo il silenzio.
Con profondo rispetto e altrettanta tristezza,
David Diavù Vecchiato