31 maggio 2019

Intervista su Secondo Piano Scala B (maggio 2019)


Ci puoi raccontare le ultime esperienze di cui ti sei occupato? Quali sono i progetti che segui attualmente?
In questi giorni ho terminato dei murales nel territorio del Municipio VII di Roma che fanno parte del MURo Festival, un progetto che prevede murales di artisti italiani e internazionali, 2 rassegne di documentari, 4 tavole rotonde e una mostra, in un calendario che va da aprile a novembre 2019. MURo (Museo di Urban Art di Roma) è il progetto di Arte Urbana che ho avviato nel quartiere Quadraro dieci anni fa e che si è poi ampliato in tutta Roma, dal quale è nata l’Associazione omonima che fa arte in tutta Italia e l’omonima serie di documentari TV sulla Street Art che ho curato per Sky Arte. Dopo tanti anni di produzioni artistiche a contatto con la strada – ovvero in relazione con la quotidianità delle persone – ci siamo decisi di affrontare pubblicamente alcune tematiche che ruotano attorno al fare arte negli spazi pubblici e condivisi, e abbiamo deciso di farlo coinvolgendo membri di istituzioni italiane e internazionali e vari studiosi tra storici dell’arte, restauratori, avvocati, ecc.


Facendo un passo indietro nel tempo, qual è stata l’urgenza che ti ha “mosso” in particolare verso la street art, rappresentando per buona parte il mondo del Cinema? Cosa ti deve colpire quando scegli il soggetto, quando crei un personaggio cinematografico o racconti una storia?
Verso la Street Art mi ha spinto l’esigenza di essere artista in modo differente dalla figura stereotipata degli artisti del Novecento. Non volevo insomma fare la mia arte da una specie di Olimpo distante dalla quotidianità delle persone comuni – comuni come lo sono anch’io – in cui l’artista-genio crea solo per frequentatori di gallerie e musei in grado di capire ed interpretare le sue produzioni. Più del mercato dell’Arte Contemporanea di prestigiose fiere e gallerie a me interessa che la mia arte sia alla portata di tutti, anche a costo di adattare la mia ricerca stilistica per andare incontro a una più semplice comprensibilità, perché credo fortemente nel potere politico dell’arte. E l’arte in strada può essere potente se un’opera diviene un simbolo. Per farti un esempio, ho iniziato a dipingere attori e registi in strada nel 2014, proprio quando un comitato di quartiere, a Torpignattara, ha chiesto a me e MURo di realizzare opere di Street Art in grado di stimolare la riapertura di un edificio enorme chiuso da decenni, lo storico Cinema Impero. Scelsi di dipingere Pasolini, Anna Magnani, Mario Monicelli e i fratelli Citti in un territorio che è stato il set urbano di molti loro film, e su un cinema oggi chiuso che molti di quei film li ha proiettati. Abbiamo così richiamato in strada giornalisti, amministratori locali e ci fu una diretta tv della Rai, e tutto ciò accese i riflettori su quel luogo aiutando a stimolarne la riapertura. Ora è un’importante scuola di Teatro, e presto riaprirà anche la sala cinema.


Cosa ti affascina maggiormente della street art? Perché è un linguaggio che cattura l’attenzione di persone e personalità molto diverse tra loro?
La Street Art è effimera, nel senso che negli anni scompare dal muro su cui è dipinta e non ne resta traccia. È impermanente, proprio come noi. Eppure viene continuamente fotografata e diffusa in tutto il mondo in modo capillare tramite web e social network. Questa apparente contraddizione mi affascina. Ma mi affascinano anche le reazioni delle persone di fronte alle opere, dalla sorpresa alle critiche, dalla curiosità alle lodi, fino alle contestazioni, c’è sempre molta vita attorno alla realizzazione dei murales. È un’arte che crea un dibattito pubblico che difficilmente altre pratiche ed espressioni artistiche riescono a provocare.


Hai lavorato e lavori con molti giovani universitari. Qual è il loro approccio verso l’arte, a tuo avviso?
Generalizzando direi che subiscono più il fascino della Street Art che dell’arte in genere, perché un artista che è sospeso a decine di metri su un palazzo a dipingerne la facciata o che agisce anonimamente di notte lasciando tracce di sé nelle strade della città , è un esempio di libertà che attrae la curiosità dei più giovani. Ma questo a volte è solo un elemento di attrazione e, in realtà, sono molto interessati anche alle diverse tecniche usate nell’arte urbana e ai diversi motivi per cui la faccio. Da parte mia cerco di lavorare il più possibile in progetti e contesti in cui sono coinvolti studenti di ogni età, perché credo che la formazione e la crescita stessa di un individuo non possano prescindere dall’acquisizione di un proprio senso estetico e dalla conoscenza dell’arte.


Parlando del film “Secondo Piano Scala B”, su quale media ti piacerebbe vederlo (cinema, TV, web) e perché?
Il medium è il messaggio” dice la celebre massima di McLuhan, dunque se si ampliano i media di fruizione di un prodotto si rende più trasversale anche il messaggio di cui è portatore? Chissà, nel dubbio dovremmo poter vedere ormai i film su ogni mezzo tecnologico possibile, anche se io personalmente ti confesso che non amo gli schermi piccoli (smartphone, tablet…) perché mi piace essere avvolto dalle immagini più che tenerle in una mano. E forse anche per questa ragione dipingo grandi opere in strada. Dallo schermo del cinema a quello di un drive in, fino alla proiezione sulla facciata di un palazzo, ecco, questi sono i mezzi sui quali preferirei vederlo.


Ultima domanda: in cosa è stra-ordinaria la tua vita? Quale aneddoto o episodio o evento vissuto ti ha fatto pensare di aver raggiunto un traguardo?
In campo professionale penso di aver raggiunto diversi traguardi, ad esempio importanti committenti o collaborazioni prestigiose e soddisfacenti, ma siccome credo che l’arte sia fondamentalmente relazione, uno dei momenti più intensi del mio lavoro è stato quando nel 2013 ho conosciuto Sisto Quaranta, un uomo che fu deportato dai nazisti assieme ad altri 946 giovani e adulti del Quadraro il 17 aprile del 1944 e miracolosamente tornato vivo. Un paio di anni fa ho dipinto un murale con Sisto, a pochi mesi dalla sua morte. Per il resto non sono mai veramente soddisfatto nel lavoro, mi piace cercare di fare qualcosa di diverso in ogni nuova opera e progetto – soprattutto perché mi annoia ripetermi – quindi ad ogni opera cerco di spostare la mia ricerca un passo più in là, a costo di deludere chi si affeziona a una visione che ha di me e del mio lavoro, e vorrebbe appiccicarmela addosso come un’etichetta per vedere prodotto da me sempre quel tipo di immaginario. Ciò che rende davvero stra-ordinaria la mia vita però non è il lavoro, sono le persone che ho attorno e che amo.


QUI sul sito di Secondo Piano Scala B l'intervista originale.

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