25 novembre 2013

Urban Art Revolution a Roma

I giornali ogni tanto non mentono, ed è vero che il progetto di museo all'aperto MURo (Museo di Urban Art di Roma) nato nel quartiere Quadraro un paio di anni fa e di cui sono curatore, sta procedendo alla grande. 
Gli ultimi due interventi, realizzati lo scorso mese entrambi in via dei Pisoni, sono il murale della superstar dell'Urban Art (e del Pop Surrealism) statunitense Ron English e quello del bravissimo Beau Stanton, scelto non a caso da English come suo assistente.
Potete leggere del murale di Ron, e del documentario per Sky ARTE che ne racconta la storia QUA nel sito di MURo, alla rassegna stampa.

Murale di Ron English a via dei Pisoni a Roma, per il progetto MURo curato da me nel quartiere Quadraro

Ma dei murales di Ron e Beau in particolare parleremo più avanti, ora vi voglio raccontare cos’è il museo all'aperto MURo.

Anzi, vediamo prima cosa NON è.

MURo NON è un progetto illegale che punta a lasciare tracce provvisorie e stratificate di Street Art tramite interventi veloci e clandestini, come quelli che di solito gli artisti eseguono in strada, per capirci come quelli arcinoti che ha realizzato Banksy in questi giorni a New York e che vedete nell'Instagram dedicato.

Ma MURo NON è neanche un progetto istituzionale nato a tavolino in qualche assessorato del Comune di Roma. Non è figlio di una circolare sfornata da una Commissione Cultura del Comune di Roma o di qualche Municipio, o magari da una Commissione Politiche Sociali. 

E NON è neanche un'idea filantropica di qualche investitore privato. 
Magari averceli investitori privati e amministratori pubblici tanto illuminati.

MURo è un sogno ad occhi aperti, e come questi un po' ingenuo se mai, sognato da un artista.

Il murale "Art Pollinates Quadraro", realizzato da me nel gennaio/febbraio 2011, in via dei Lentuli all'ingresso del quartiere

L'ho sognato quando mi sono trasferito al Quadraro vecchio, nel 2004, quartiere popolare dove vivevano i miei nonni materni e a cui sono legati molti dei ricordi d'infanzia che amo di più.
Un piccolo storico quartiere a due passi dalla fermata metro Porta Furba e nascosto all'ombra dell'acquedotto romano, depositario di tante storie emozionanti che domandano di venire alla luce.

I miei ricordi personali di bambino sono particolarmente legati a Via dei Ciceri, e ancora oggi quando entro in quella strada mi sembra di risentire la frase magica «Nonna te compra 'na bella cosa», perché là c'era la tabaccheria di Gigetto dove trascinavo a forza di strattonate la Sora Bruna, mia nonna, a comprarmi le caramelle mou quando uscivamo assieme per fare la spesa all'alimentari di Costantino. Più avanti c'era il dottor Boglino, che quando mi visitava la diagnosi era sempre «a Sora Bru', il pupo sta benissimo», per paffuto com'ero, rimpinzato a carbonare e amatriciane. E gnocchi il giovedì.
I miei nonni vivevano al primo piano del primo dei cinque palazzoni di via degli Angeli. Ricordo come lo sentissi ora il fischio sulle scale di mio nonno, quando arrivava a casa all'ora di pranzo e donne e bambini di casa dovevano fare a gara a chi gli apriva la porta per primo. Evidente che er Sor Giovanni riteneva chiavi e campanello strumenti che un patriarca non avrebbe dovuto mai maneggiare. Dalle finestre di quella casa vedevo i ragazzini del quartiere giocare a pallone ogni giorno, ma io non andavo. Sempre stato insofferente nei confronti del pallone.
Trascorrevo piuttosto lunghi e silenziosi pomeriggi a disegnare sul tavolo della veranda, immerso nei profumi che provenivano dalle pentole di mia nonna, a guardare lei fare i suoi solitari a carte, o ad ascoltare i suoi discorsi con le amiche, per le quali amministrava la cosiddetta "società" (mettevano dei soldi in comune coi quali costituivano un fondo cassa per eventuali prestiti a quelle di loro che ne avessero avuto bisogno, e poi li recuperavano con gli interessi che si andavano a dividere, le balenghe!).

Poi tutto terminò, come un sogno appunto, all'inizio degli anni 80, quando lei lasciò l'appartamento a sua nipote, che non so neanche se ci abiti ancora.
Mio nonno era già morto da un paio d'anni, e con lui se ne era andata da me la speranza, anzi la fiducia, nell'immortalità dei migliori.

Nove anni fa, quando la malsana fantasia poco fantastica di accendere un mutuo mi ha posseduto e scaraventato a terra come fa il diavolo a Linda Blair, ho scelto di nuovo questo posto dei miei ricordi, e ho cercato una casa proprio al Quadraro. 
Lo so, è un epilogo lacrimoso in stile figliol prodigo o "torna a casa Lassie", ma è andata proprio così.

Certo, il quartiere è cambiato, non c'è più Gigetto, non c'è il bar Carfagna, non c'è più neanche un'osteria e tra queste vie non si incontra più Claretta il travestito, anzi colui che veniva definito "il primo travestito d'Italia", ché forse l'aveva frequentato pure Garibaldi.
C'è però ancora la scuola Pietro Mancini dove ho trascorso il mio primo anno di asilo e l'ho trascorso da raccomandato perché mi portava là Margherita, la bidella gobbetta amica di mia nonna che viveva nel seminterrato sotto di noi. 
E ora in quella scuola ha frequentato le elementari mia figlia Sofia.
C'è ancora Gino poi, il barbiere dei divi di Cinecittà, seconda occupazione: cantante. A cui ho fatto un ritratto di cui potete scorgere qua il work-in-progress. 

Un mio ritratto del barbiere-cantante Gino Scarano, stencil su carta

C'è Mariuccio, il nano più alto del mondo, e ci sono Sisto, Wanda, Ada, Marisa e gli altri testimoni della deportazione nazista di 947 cittadini che il Quadraro ha subito il 17 aprile del 1944 e che conserva come una cicatrice che sta scomparendo, purtroppo senza lasciare memoria nei libri di Storia (e sarebbe ora di mettercela!).
C'è insomma gente che è bello ascoltare appena apre bocca, perché qui incontri una forte identità popolare che tiene duro e sa di essere già scomparsa dagli altri quartieri di Roma.

Ecco, in questo contesto io ho immaginato MURo, museo a cielo aperto dell'Urban Art.

Ammetto di essere un tipo particolarmente lento ad acquisire suggestioni ed informazioni da ciò che mi circonda. Sono spesso concentrato nelle mie idee, nei miei pensieri, nel mio mondo. Sono di quelli che va a sbattere ai pali leggendo, tanto per capirci, e non vi dico quante volte ho inciampato nei nasoni, le fontanelle romane, immerso in chissà quali progetti. 
Ma poi, se la mia schiva attenzione viene rapita da qualcosa, quella diventa protagonista assoluta delle mie maniacali elucubrazioni e inizio a guardarla con curiosità quasi infantile. Così ho guardato queste strade e le troppe immagini di degrado, prima estetico e poi umano, che stonavano i miei ricordi del Quadraro e mortificavano la bellezza di questa identità popolare. 
Non diciamo stronzate, vedere già alle 9 di mattina persone che si ubriacano sdraiate sul marciapiede e che molestano i passanti non è proprio il massimo dell'integrazione né della civiltà, essù. Per intervenire bisogna prima partire dall'assunto che quelle persone stanno male, che hanno problemi che non riescono ad affrontare da sole e comprendere che nessuno le sta aiutando. Non puoi dichiarargli guerra, è disumano, ma non devi nemmeno ignorarle con la scusa della tolleranza, sfoderata spesso dai sedicenti politicamente corretti per giustificare la totale inadeguatezza delle istituzioni italiane di fronte ai disagi (e disastri) sociali.
Io ho pensato, se non proprio a una soluzione immediata che da singolo cittadino non sarei nemmeno in grado di fornire, a un lungimirante miglioramento delle condizioni che potevo offrire attraverso il mio lavoro. A un "risanamento estetico" del quartiere da attuare usando come mezzo l'Arte Contemporanea.
Costretto allo slalom tra escrementi di cani non raccolti e tra decine e decine di bottiglie di birra lasciate sui marciapiedi, sulle soglie dei negozi, nelle cassette della posta e della pubblicità, sopra le auto parcheggiate, le troppe auto lasciate anch'esse spesso sui marciapiedi, ho immaginato come cambiare qualcosa tramite un forte e deciso intervento d'artista. 

Ho immaginato di dipingere le pareti cieche di questo quartiere, di chiamare altri amici, noti artisti di tutto il mondo, a lavorare con me per renderlo un luogo che racconti se stesso anche attraverso l'arte visiva, magari in futuro una meta culturale e - perché no - turistica, un'oasi di arte e cultura contemporanee.
Questo perché la cultura le salva le persone, e se si può usufruire di cultura senza dover spendere un euro si salvano pure gratis.

Ho immaginato insomma il museo a cielo aperto MURo per donare ai cittadini la bellezza delle opere assieme alle riflessioni e al pensiero degli artisti, di cui potranno usufruire senza la necessità di andare in gallere d'arte e musei. Che magari poi, dopo aver conosciuto da vicino l'arte e gli artisti, gli viene pure la voglia di andarci. 

L'ho immaginato per abituare i più giovani a una visione della città e dei propri spazi pubblici propositiva, alternativa ed opposta a quella offerta dal degrado estetico e ambientale, che diviene poi degrado sociale, quindi noncuranza per i beni che sono di tutti - come una strada, un giardino pubblico o un muro - e si trasforma spesso in disprezzo e vandalismo per ciò che si considera di nessuno.

Ho immaginato MURo perché so che quando un bene, come un'opera d'arte in questo caso, è condiviso da più cittadini e questi imparano ad apprezzarlo e a difenderlo, si abituano anche a vedersi come una comunità coesa, e non più come un insieme di singoli, magari pure diffidenti ed ostili tra loro. 
 
E una comunità coesa che ha una propria idea del mondo che vorrebbe diventa un problema per chi gestisce il potere in modo iniquo, tenendoci tutti divisi e quindi impotenti ad intervenire attraverso critiche e azioni nella vita pubblica.

Il primo murale l'ho dipinto io a via dei Lentuli, tra fine 2010 e inizio 2011. H
o chiesto l'autorizzazione al Municipio grazie all'associazione di zona Punto di Svista e a Salvatore Salmeri, cittadino che ho conosciuto al  negozio di casalinghi della Signora Eva, mentre i materiali li ho acquistati facendo la colletta tra il ristorante del giordano Hassan, l'alimentari rumeno, lo storico caffè torrefazione Carra e la società di facchinaggio di Sergione, che in breve è diventato il mister Wolf risolvi-tutto del progetto MURo.

Primo murale di MURo, che ho realizzato a via dei Lentuli e al quale ha collaborato l'artista USA Joe Ledbetter, dicembre 2010/gennaio 2011

Il mese successivo ho lavorato ad un altro murale, visto che il primo è piaciuto ai cittadini (e visto che molti secchi di colore erano avanzati). E questo, dal titolo Art Pollinates Quadraro (l'Arte feconda il Quadraro) dichiarava le intenzioni del mio progetto.
A quel punto i writer di zona hanno inviato un messaggio di rispetto, che a me piace leggere come un riconoscimento del progetto MURo e una condivisione dei suoi obiettivi politici, posando una grande tavola di compensato completamente fitta di tag e scritte. Come a dire "noi potremmo ricoprire tutto, ma non lo facciamo". Questo mi ha incoraggiato a continuare.

Intervento di writer su una tavola di legno poggiata sul murale Art Pollinates Quadraro, 2011

Anche al Municipio nel frattempo si sono accorti che i murales non venivano danneggiati e loro avrebbero potuto quindi risparmiare i fondi del Decoro Urbano destinati alla pulizia dei muri. E sono diventati più disponibili nei confronti del progetto.

Dal 2011 a oggi altri 11 muri sono stati realizzati da altrettanti amici artisti. 
Nel frattempo abbiamo creato il blog dove scaricare la mappa dei murales, la pagina facebook e il gruppo facebook. E, tra i tanti servizi e articoli dedicati, Rai Educational Arte ha da poco realizzato un servizio ai murales di MURo che potete vedere qui.

Poi, lo scorso mese, il murale di Ron English e le riprese del documentario per Sky ARTE, completamente dedicato a Ron, e che io ho concepito come vero e proprio format, con lo staff di Mondopop, con Matteo Maffucci e con gli altri ragazzi della produzione video Level 33
Un format d'artista. 
Un programma/documentario che racconta quello che succede a noi artisti quando andiamo in una città a dipingere, come viviamo, come ci rapportiamo coi cittadini e come si diventa spesso amici. Un artista spesso ascolta, guarda, conosce e poi traspone in immagini le sensazioni ricevute. 
Lo immagino così questo programma perché non amo granché la tv e la sua apparentemente indispensabile falsità. Per questo ho pensato alla cosa più autentica che si possa mandare in onda parlando di Street Art.

Ron ad esempio ha vissuto giorni nel quartiere, ha conosciuto i sopravvissuti alla deportazione nazista del 1944, si è tagliato i capelli da Gino, ha fatto colazione da Hassan e da Barbara e Paolo, ha mangiato e bevuto al Grandma da Mariella, Marco, Lorenzo e Yari, ha assaggiato il vino casereccio e la pasta fatta in casa che gli hanno portato Mariella e Fabrizio, la porchetta del norcino Giuseppe, e così via. 
E tutti gli hanno raccontato qualcosa, delle loro vite e della storia del Quadraro.


Ron English guarda il murale "Art Pollinates Quadraro, ottobre 2013

E tutto questo potrete vederlo in quello che ho immaginato come puntata pilota di una serie di documentari. In onda su Sky ARTE il prossimo martedì 3 dicembre alle ore 22, resterà on demand per mesi, così potrete trovarlo là quando lo desiderate e, se non avete Sky, potrete andarlo a vedere a casa di amici e conoscenti.
Spero vi piacerà.

Grazie mille e buona visione.

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